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Diritto all’oblio nel Registro delle imprese

La Corte di Giustizia UE, pronunciandosi sulla questione pregiudiziale della Corte di cassazione se, in base alla normativa europea, spetti al legale rappresentante di una ditta il diritto di chiedere la cancellazione dei propri dati personali dal Registro delle imprese, afferma che allo scopo di tutelare i terzi che commerciano con le società aventi sede negli Stati membri, solo in via eccezionale e previa valutazione caso per caso, il giudice può limitare l’accesso ai dati personali solo a terzi che abbiano uno specifico interesse e sempre che la società sia sciolta da un certo periodo di tempo e sussistano ragioni eccezionali e legittime.

Una società edile conduce la propria attività anche grazie all’aggiudicazione di alcuni contratti di appalto per la costruzione di edifici pubblici.

Uno di questi contratti prevede che venga edificato un complesso turistico.

Si tratta di un progetto ambizioso, che comporta la costruzione di numerosi villini residenziali per i vacanzieri, zona camping, area sportiva, piscina, relax e ogni sorta di attrezzatura e intrattenimento ad uso e consumo dei turisti che si recano nelle spiagge assolate della costa pugliese.

La ditta è stata fondata dallo stesso soggetto che attualmente riveste la carica di amministratore unico e che in tale veste assorbe tutti i successi e le sconfitte che un’attività come la sua può comportare.

Per rendersi sempre più accattivante come ditta alla quale affidare i contratti, la società si presenta attraverso un sito web nel quale sono caricate tutte le fotografie dei lavori portati a termine e di quelli che hanno ancora i cantieri aperti.

Le fotografie di grandi complessi immobiliari e palazzine residenziali campeggiano nelle sezioni riservate alle costruzioni e ai restauri, lasciando intendere che gli affari stiano andando davvero bene.

Il fallimento della prima ditta di costruzioni

Le cose non sono però sempre state soddisfacenti.

C’è stato un tempo in cui il titolare era a capo di un’altra ditta che non riusciva a far fronte agli impegni economici.

I debiti hanno cominciato ad accumularsi sempre di più, fino ad arrivare al punto in cui i creditori hanno deciso di far dichiarare il fallimento della ditta.

Un periodo buio dal quale il titolare è uscito a fatica, riuscendo a ricostruirsi una nuova immagine professionale.

Egli è ripartito da zero ed ha fondato una nuova ditta di costruzioni e restauri.

Tuttavia, proprio quando sembrava che tutte le difficoltà fossero rimaste alle spalle, il passato ritorna prepotentemente in superficie.

Il villaggio turistico è stato infatti consegnato nei tempi previsti, non ci sono stati problemi di sorta durante i lavori e tutto sembra essere stato realizzato a regola d’arte. Manca solo una cosa: gli acquirenti.

La “cattiva” pubblicità dei dati iscritti nel registro delle imprese

La spiegazione è piuttosto semplice: i potenziali acquirenti dovendo impegnarsi a versare ingenti somme di denaro per acquistare le unità immobiliari del nuovo complesso turistico, preferiscono informarsi adeguatamente sul soggetto con cui dovranno entrare in affari.

Il luogo in cui sono custodite le informazioni delle varie ditte è la Camera di commercio, la quale attraverso il registro delle imprese è in grado di ricostruire tutta la storia di una ditta dalla sua fondazione alla sua cancellazione.

Cercando il nome del legale rappresentante della ditta appaltatrice, gli acquirenti vengono a conoscenza di un’informazione che sembrava ormai sepolta nell’oblio, ovvero che quindici anni prima la ditta di cui egli era amministratore unico fu dichiarata fallita e poi cancellata.

Non proprio il biglietto da visita ideale per chi voleva dare di sé una nuova immagine.

Fallimento e diritto all’oblio: la questione pregiudiziale

La Corte di Cassazione, adita dalla Camera di commercio per l’impugnazione della sentenza che la condannava al risarcimento dei danni e alla cancellazione dei dati, rimette alla Corte di Giustizia europea questioni pregiudiziali sull’applicazione interna della normativa europea in materia di trattamento dei dati.

Il ricorrente davanti alla giurisdizione interna chiede la condanna della Camera di commercio alla cancellazione o blocco o trasformazione in forma anonima dei dati personali presenti nel registro delle imprese e trattati da una società specializzata nel rating di mercato nonché la condanna al risarcimento dei danni.

A fronte del ricorso per cassazione proposto dalla Camera di commercio soccombente, la Suprema Corte ha adito la Corte di Giustizia europea sulle seguenti questioni pregiudiziali: “1) Se il principio di conservazione dei dati personali in modo da consentire l’identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, previsto dall’articolo 6, [paragrafo 1,] lettera e), della [direttiva 95/46], attuata [dal] decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, debba prevalere e, quindi, osti al sistema di pubblicità attuato con il registro delle imprese, previsto dalla [direttiva 68/151], nonché dal diritto nazionale agli articoli 2188 c.c. e 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, laddove esso esige che chiunque, senza limiti di tempo, possa conoscere i dati relativi alle persone fisiche ivi risultanti.

2) Se, quindi, l’articolo 3 della [direttiva 68/151] consenta che, in deroga alla durata temporale illimitata e ai destinatari indeterminati dei dati pubblicati sul registro delle imprese, i dati stessi non siano più soggetti a “pubblicità”, in tale duplice significato, ma siano invece disponibili solo per un tempo limitato o nei confronti di destinatari determinati, in base ad una valutazione casistica affidata al gestore del dato”.

Quando il giudice può limitare l’accesso ai dati societari

La Corte di Giustizia europea premette alle motivazioni il contesto normativo richiamato nella questione pregiudiziale.

All’epoca dei fatti si applicava la direttiva CE 68/151, ora abrogata e sostituita dalla direttiva 2009/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, e la direttiva 95/46 che ha per oggetto la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche e del diritto alla vita privata con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di tali dati.

In ambito nazionale, il riferimento normativo è dato dal Codice civile (art. 2188), dalla legge n. 580/1993 sul Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 581/1995 (Regolamento di attuazione dell’articolo 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, in materia di istituzione del registro delle imprese) e dal decreto legislativo n. 196/2003, Codice in materia di protezione dei dati personali, che recepisce nel diritto italiano la direttiva 95/46.

La normativa europea e italiana va coordinata alla Carta dei diritti fondamentali dell’uomo

La Corte, trattando congiuntamente le due questioni pregiudiziali, interpreta la direttiva 95/46 alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla protezione dei dati personali. In particolare, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 95/46 sancisce che i dati personali devono essere conservati in modo da consentire l’identificazione delle persone interessate per un tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati. In caso di inosservanza, è compito degli Stati membri garantire il diritto di ottenere la cancellazione o il congelamento dei dati e riconoscere il diritto della parte interessata di opporsi in qualsiasi momento per giustificati motivi al trattamento di dati che la riguardano.

I rapporti commerciali tra Stati membri vanno tutelati con la pubblicità del registro delle imprese

La legittimità dei motivi va commisurata alle finalità della iscrizione nel registro delle imprese, che mira a tutelare gli interessi dei terzi nei confronti di società per azioni e società a responsabilità limitata, permettendo loro di conoscere gli atti costitutivi, i dati e i legali rappresentanti della società interessata.

Poiché permangono rapporti giuridici anche dopo lo scioglimento di una società, accedere ai dati del registro è necessario in caso di controversia, e non è possibile stabilire un tempo unitario di cancellazione di tali dati poiché i termini di prescrizione dei diritti variano tra i diversi Stati membri.

Nessun obbligo di garantire il diritto all’oblio: la tutela va accordata caso per caso

Per tale motivo, la Corte non ritiene che gli Stati membri, in virtù dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera e), e dell’articolo 12, lettera b), della direttiva 95/46, siano tenuti a garantire alle società di capitali il diritto di ottenere, decorso un certo periodo di tempo dallo scioglimento della società, la cancellazione dei dati personali iscritti nel registro.

La protezione dei dati è assicurata da un lato dalla direttiva 68/151 che impone la pubblicità solamente per i dati personali relativi all’identità e alle funzioni dei legali rappresentanti della ditta; dall’altro lato dalla direttiva 95/46 che ammette situazioni eccezionali in cui l’accesso ai dati personali iscritti nel registro sia limitato, decorso un certo periodo di tempo dallo scioglimento della società, ai soli terzi aventi un interesse specifico alla loro consultazione.

Poiché le disposizioni della direttiva 95/46 si applicano salvo normativa nazionale contraria, ove risulti che il diritto nazionale è favorevole spetterà al giudice del rinvio valutare caso per caso la sussistenza di ragioni che giustifichino in via eccezionale una limitazione all’accesso di terzi ai dati presenti nel registro delle imprese.

Con riferimento alla fattispecie concreta, la presunzione che gli immobili siano rimasti invenduti perché i potenziali acquirenti hanno avuto accesso ai dati non è ritenuta sufficiente a costituire una ragione giustificativa.

Quando il giudice può limitare l’accesso ai dati societari

La pronuncia della Corte di Giustizia europea punta l’attenzione sull’importanza di combinare da un lato la certezza del diritto per i terzi che intrattengono relazioni commerciali con le società degli Stati membri e dall’altro il diritto all’oblio dei legali rappresentanti di tali società, i cui dati personali sono iscritti nel registro delle imprese.

In tale ultimo caso, tuttavia, è compito dei giudici nazionali – come afferma la Corte di Giustizia – individuare se nei rispettivi ordinamenti è prevista questa forma di tutela e, in caso affermativo, è compito del legislatore intervenire con una normativa che disciplini le ipotesi in cui l’accesso ai dati personali contenuti nel registro delle imprese deve essere subordinato ad uno specifico interesse predominante sul diritto alla riservatezza.

L’importanza extra-giuridica del fallimento

Ritornando ai fatti da cui è originato il caso, il ricorrente ha attribuito alla pubblicità del suo fallimento la mancata vendita del complesso immobiliare costruito.

Sebbene la Corte non abbia concordato su tale motivazione, è evidente che il significato associato al termine fallimento presenti un certo grado di disvalore, in grado di incidere negativamente sulla sensibilità sociale.

Proprio questa considerazione è alla base di una questione di legittimità sollevata davanti alla Corte costituzionale, che però non ritiene lesiva del principio di uguaglianza la virtuale disparità di trattamento sociale tra imprenditore fallibile – che subisce le conseguenze non solo giuridiche ma anche sociali del fallimento – e imprenditore non fallibile.

Un aspetto non ignorato dal legislatore, che ha poi successivamente sostiuito il termine “fallito” con "debitore assoggettato a liquidazione giudiziale".

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