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Rimozione Video Facebook ed il caso Cantone

Il noto caso di Tiziana Cantone, passata alla cronaca per il suo triste suicidio, ha portato alla ribalta un tema scottante come quello della rimozione di dati, contenuti, immagini e video dai social network, come pure Facebook.

Invero, il soggetto leso ha ottenuto un provvedimento ex art. 700 cpc che ordinava l’immediata rimozione dei contenuti lesivi riferiti direttamente alla ricorrente per illecito trattamento dei dati, diffamazione e diritto all'oblio.

Successivamente, Facebook impugnava il provvedimento tuttavia risultando soccombente sotto diversi profili.

Il Tribunale ha stabilito che il gestore di social network non ha il dovere di controllare in via anticipata i contenuti e i commenti immessi dagli utenti ma, una volta a conoscenza di specifici links dal contenuto lesivo, ha il dovere di effettuare un controllo successivo per impedire che tali contenuti vengano nuovamente caricati.

Il caso Cantone: una vita distrutta dalla diffusione di video erotici

Tiziana Cantone (di seguito T.C.) era una bellissima ragazza. A 30 anni ha deciso di porre fine alla sua vita a causa di una brutta vicenda che l’ha segnata per sempre.

T. conosce quattro uomini attraverso un famoso social network. Forse senza neanche immaginare le conseguenze di quello che poteva sembrare un gioco, T. accetta di farsi riprendere dal suo fidanzato con il telefonino durante i loro rapporti e invia i relativi video a sfondo erotico ai quattro uomini con i quali ha intrecciato relazioni virtuali.

In totale gira sei video. Si fa riprendere in maniera consenziente e volontaria, ma non ha mai dato il consenso alla loro diffusione.

Video caricati illecitamente online senza il consenso del titolare

Il 25 aprile 2015 viene a scoprire che questi video sono stati caricati su siti pornografici per adulti. È un suo amico a fare la rivelazione, le dice che l’ha riconosciuta e le fornisce anche i riferimenti per andare a cercare il video. T. non può fare a meno di riconoscersi. Qualche giorno dopo, scopre che i video sono stati caricati su altre tre diverse piattaforme di contenuti per adulti.

Per T. la ricerca dei siti nei quali sono stati caricati i video che la riguardano diventa una ossessione. E più va alla ricerca, più le novità che scopre sono angoscianti. Il suo nome compare in un forum per adulti, e da lì viene a sapere che si fa menzione di lei in un sito per scambisti.

Video virali condivisi su social network e WhatsApp

Come se non bastasse, poiché la sua avvenenza le ha procurato molti estimatori, su F. sono nati addirittura gruppi dedicati a lei, oltre a profili fasulli con il suo nome nei quali sono caricate immagini ricavate dai frame dei video, con una modesta censura per non incorrere nei divieti del social network.

Quando sembrava di aver raggiunto il limite, un altro amico la informa che tra i suoi contatti telefonici si sta condividendo una sua foto osé tratta da uno dei suoi video. T. capisce che la diffusione di questi video è fuori controllo.

Il grave danno all'immagine e alla riservatezza della vittima

E purtroppo supera i confini di Internet perché la gente comincia a riconoscerla anche per strada, la deride, la insulta.

T. non riesce più a frequentare nessun luogo pubblico senza sentirsi in imbarazzo, la sua esistenza è segnata irrimediabilmente. Si vergogna di fronte alla famiglia e non ha più amici.

Nessuno la chiama per darle un po’ di conforto o per offrirle aiuto, nessuno tranne quello che fino a qualche tempo prima era il suo fidanzato e che aveva girato i video. Lui continua a starle accanto, la fa desistere dal compiere un gesto sconsiderato e addirittura le copre le spese dell’avvocato.

Denunce in Procura per tre reati, l’ultimo è istigazione al suicidio

Sì perché nel frattempo T. si è rivolta ad un avvocato e ha sporto denuncia. Si reca in Procura dapprima nel mese di maggio 2015 e fa i nomi dei quattro uomini ai quali aveva inviato i video, che vengono iscritti nel registro degli indagati con il reato di diffamazione.

Torna in Procura un’altra volta per integrare la denuncia con nuovi fatti che comportano l’apertura di un fascicolo contro ignoti per il reato di violazione della privacy.

Esiste anche un terzo fascicolo per un altro reato, ma questa volta non è stata T. a sporgere denuncia, perché si tratta del reato di istigazione al suicidio con il quale a settembre si è tolta la vita.

Il reclamo contro l’ordinanza che accoglie il ricorso d’urgenza

Facebook (di seguito anche F.) propone reclamo avverso l’ordinanza resa in data 10.08.2016 dal Tribunale di Napoli Nord con la quale si accoglie la domanda ex art. 700 c.p.c. proposta da T. C. nei confronti di F. A seguito del decesso della ricorrente, si costituisce T. G. nella qualità di erede di T. C. Il Tribunale in veste collegiale trattiene la causa e scioglie la riserva assunta all’udienza del 5 ottobre 2016 accogliendo parzialmente il reclamo.

Cessata materia del contendere e i link incriminati

Con il proposto reclamo, Facebook in via preliminare chiede la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza e, nel merito, chiede di accertare che il quarto link identificato nel ricorso ex art. 700 c.p.c. dalla ricorrente non era accessibile sul servizio F. alla data dell’ordinanza e, per l’effetto, dichiarare cessata la materia del contendere e, in via subordinata, accertare che l’ordinanza emessa si pone in contrasto le disposizioni del decreto e-commerce e rigettare le domande della ricorrente.

T. G. costituitasi quale erede della ricorrente, insiste per il rigetto del reclamo ovvero, in via subordinata, per l’accoglimento solo parziale dello stesso chiedendo di ordinare a F. I. Ltd la immediata cessazione e rimozione dalla piattaforma del social network di ogni post o pubblicazione e/o apprezzamenti offensivi, denigratori, derisori non autorizzati dalla ricorrente e/o che la ritraggano nel compimento di atti sessuali.

Il Tribunale ordina a Facebook di rimuovere i contenuti illeciti

Il Tribunale di Napoli accogliendo parzialmente il reclamo, ordina a F. I. Ltd di rimuovere immediatamente dalla piattaforma del social network i links riferiti direttamente alla ricorrente e di impedire l’ulteriore caricamento sulla stessa piattaforma dei medesimi links, applicando una somma ex art. 614 bis cpc in caso di ritardo o di inosservanza dell’ordine.

Il Tribunale si pronuncia sulla base di alcune premesse.

Innanzitutto, la materia del contendere non è cessata in quanto alla data del deposito dell’ordinanza risultava ancora attivo il link n. 2 nonostante le diffide alla rimozione di tutti i video e le immagini inviate dall’istante prima di depositare il ricorso cautelare. Comunque, persisteva l’interesse della ricorrente in fase cautelare ad ottenere l’inibitoria con riferimento all’ulteriore caricamento dei medesimi dati.

Il regime della responsabilità dei provider nella Direttiva 2000/31/CE

LDirettiva sul commercio elettronico 2000/31/CE recepita dal D. Lgs. n. 70 del 2003, ha sancito all’art. 16 l’esclusione di responsabilità per gli ISP che effettuino servizio di hosting a meno che essi non siano effettivamente a conoscenza dell’illiceità dei contenuti caricati oppure non rimuovano immediatamente tali informazioni appena giunti a conoscenza di tale illiceità.

La conoscenza da cui scaturisce l’obbligo di rimozione non necessariamente deve pervenire da un ordine dell’autorità, a parere del Tribunale, poiché l’art.16 prevede un’ipotesi di esonero per la non effettiva conoscenza dell’illiceità, mentre l’art. 17 lascia intendere che il provider non dovrebbe attivarsi spontaneamente per impedire la diffusione dell’informazione illecita.

Tale tesi è confortata dal fatto che se si dovesse attendere un ordine dell’autorità per tutelare i diritti della personalità in gioco, esso potrebbe intervenire quando ormai tali diritti sono irrimediabilmente pregiudicati.

Nessun obbligo di controllo preventivo dei contenuti per gli ISP che sono però tenuti a impedire il nuovo caricamento di quelli illeciti

In definitiva, non sussiste per gli ISPun obbligo di controllo preventivo dei contenuti immessi in rete, ma un obbligo successivo di ottemperare a una richiesta di rimozione dei contenuti illeciti proveniente dal titolare dei diritti o da un ordine dell’autorità.

Pertanto, la reclamante non aveva il dovere di inibire il caricamento sulla sua piattaforma di ogni contenuto riferito alla persona della ricorrente, ma avrebbe dovuto impedire il solo nuovo caricamento degli stessi specifici links comunicati, obbligo che però non è stato adempiuto.

La distinzione tra provider a seconda dei servizi offerti

La pronuncia contiene una distinzione tra diversi provider, a seconda che forniscano contenuti di cui sono autori (content p.), accesso alla rete attraverso la dorsale internet (network p.), accesso ad Internet attraverso modem o connessioni (access p.), ospitalità a siti internet (host p.), servizi per Internet (service p.), immagazzinamento temporaneo di dati provenienti dall’esterno (cache p.).

La responsabilità connessa all’esercizio di ognuna di queste attività prevede un esonero da un generale obbligo di sorveglianza o di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. Tale esonero è motivato dal fatto che verificare tutti i dati e le attività svolte nel web sarebbe tecnicamente impossibile ed inoltre configurerebbe una ipotesi di responsabilità oggettiva non prevista dal legislatore o, addirittura, una compartecipazione dei providers ai contenuti illeciti caricati da terzi utilizzando il servizio da essi fornito.

Ciò non toglie che il provider sia responsabile delle informazioni oggetto di memorizzazione durevole laddove sia venuto a conoscenza del fatto che l’informazione è illecita e non si sia attivato per impedire l’ulteriore diffusione della stessa.

Il drammatico fenomeno del porn revenge

Il caso di T. C. non è isolato purtroppo anzi, è così diffusa la pratica di mettere alla gogna soggetti pubblicando in rete video hard immediatamente virali, che il fenomeno ha preso il nome di porn revenge. Infatti, è quasi sempre un ex che non si rassegna alla fine di una storia d’amore a decidere di vendicarsi per la storia d’amore mettendo in rete i video dei momenti di intimità.

Quanto detto, aumenta la responsabilità che di fatto grava prima di tutto sul buon senso degli utenti, ma subito dopo sulla piattaforma che funge da strumento di diffusione illecita dei contenuti.

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