Informazioni rese a Sportello Agenzia Entrate - Funzionari Comunali
1. Premessa
L’art 5 c.p. prevede testualmente che “nessuno può invocare, a propria scusa, l’ignoranza della legge penale”. Trattasi di principio valido per ogni ambito del diritto, da quello civile a quello tributario.
Proprio nel settore fiscale, tale dogma entra spesso in crisi, mettendo in difficoltà contribuenti e professionisti. Infatti,spesso la legge tributaria èaltamente tecnica, difficile da comprendere perfino con l’ausilio di un professionista; ciononostante, chi sbaglia subisce le sanzioni dello Stato, per mezzo dell’Agenzia delle Entrate, o degli altri soggetti attivi del rapporto tributario.
Il riferimento è, sostanzialmente, agli enti locali, ossia Province e Comuni, nonché agli altri soggetti detentori di imposizione contributiva.Si allude, ad esempio, all’Inps e all’Inpdap, per i settori privato e pubblico, all’Inail, per i contributi assistenziali, alle casse professionali, per gli obblighi contributivi dei professionisti. Il medesimo ragionamento e principio di diritto esposto in questo articolo vale nelle comunicazioni tra consumatori ed imprese, anche nei settori dei servizi pubblici essenziali e regolamentati (si veda operatori telefonici, trasporto pubblico, distribuzione alimenti, gas etc).
Vi sono, tuttavia, alcune ipotesi in cui la legge “ammette” l’errore:infatti, l’art. 10 d.lgs. n. 212/2000 (Statuto sui diritti dei contribuenti), indica i casi tassativi in cui il contribuente che sbaglia nell’applicazione delle norme fiscali è giustificato, prevedendo che:
“non sono irrogate sanzioni, né richiesti interessi di mora, nel caso in cui l’errore del contribuente sia stato causato dall’essersi conformato ad indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria e dalla stessa successivamente modificate. Allo stesso modo il contribuente sarà scusato quando il comportamento che ha determinato la violazione sia stato causato da fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni o errori degli uffici fiscali.Le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria (in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria) o quando si traduce in una mera violazione formale senza alcun debito di imposta”.
L'Ignoranza Scusabile
Dunque, l’elenco degli errori giustificabili si conclude con la cosiddetta ignoranza scusabile, quella cioè determinata da incertezze nell’applicazione ed interpretazione della legge tributaria.
Ne deriva che, in alcune ipotesi di obiettiva incertezza, il contribuente in buona fede può essere scusato. L’incertezza deve, però, essere tale da coinvolgere perfino la magistratura, in bilico su differenti posizioni interpretative.
La Cassazione ha indicato un vero e proprio decalogo di ipotesi che possono rientrare in questa categoria:
- L’oggettiva difficoltà nell’individuazione di norme da applicare al caso concreto, ad esempio dovuta ad una lacuna dell’ordinamento o, comunque, al difetto di esplicite previsioni di legge;
- la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà, ad esempio in assenza di circolari, o altri atti interni, rivolti a soggetti che operino all’interno delle Amministrazioni;
- la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica, ad esempio in caso di obiettiva complessità di formulare e “preparare” la norma;
- la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti, situazioneche si verifica quando non vi sia una condotta uniformedegli uffici, prodotta in seguito ad un processo di standardizzazione ed osservata in quanto ritenuta la più adatta ed opportuna;
- l’oscurità del significato della norma, ad esempio quando la disposizione contenga un significato ambiguo, oscuro o perfino inintelligibile;
- la mancanza di precedenti giurisprudenziali che possano chiarire come una norma debba essere interpretata, ad esempio quando la giurisprudenza non si sia ancora mai pronunciata su una questione del tutto nuova;
- l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente, ad esempio quando lo stesso legislatore intervenga a chiare quale interpretazione, tra le diverse possibili, sia da considerare espressione diretta della volontà del legislatore.
- il contrasto tra opinioni dottrinali, ad esempio quando vi sia difformità tra le opinioni di diversi, autorevoli, autori;
- la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei giudici, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale;
- il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale, ad esempio quando vi sia un consolidato orientamento della giurisprudenza del tutto incompatibile con il comportamento comunemente adottato dagli uffici dell’amministrazione.
Tuttavia, come si vede, nel quadro degli elementi positivi oggettivamente idonei a scusarel’errore del contribuente, non rientrano testualmentele indicazioni, i chiarimenti, i pareri orali ovvero i consigli informali espressi da singoli funzionari in maniera non “ufficiale”.
E’ dubbio, dunque, se possa ritenersi giustificato il contribuente che sbagli affidandosi al parere non ufficiale di un funzionario dell’Amministrazione Finanziaria.
1.1 Le informazioni rese oralmente dai Call Center o a Sportello
Il riferimento è, ovviamente, al fenomeno piuttosto diffuso nella prassi, di informazioni assunte dai contribuenti direttamente “a sportello” presso gli uffici finanziari/dei consumatori/dei comuni e, comunque, nelle diverse forme in cui si esplica l’attività di consulenza ed assistenza dell’amministrazione.
Si pensi anche, in particolare, a tutte le informazioni dispensate tramite servizio telefonico dai call center o via email.
Invero, è alquanto comune che il contribuente (ed in altri settori il consumatore) si rechi direttamente presso l’ufficio competente per richiedere chiarimenti e spiegazioni su come comportarsi, in buona fede.
L’errore è riporre fiducia nelle parole dell’interlocutore, in quanto non appartengono ad uno scritto, si dimenticano facilmente anche dallo stesso autore, non è possibile dimostrare l’esistenza di quel dato consiglio, non si può neppure riportare il contenuto della conversazione presso terzi (si pensi allo stesso collega del nostro interlocutore, o peggio di fronte un Autorità Giudiziaria / Amministrativa /di Pubblica Sicurezza), ed in definitiva c’è il serio e concreto pericolo che chi ascolta possa interpretare male o fuorviatamente quanto ascolta (per inesperienza, ignoranza giuridica, inconsapevolezza del sistema finanziario).
Autotutela
Il caso che certamente ricorre per la maggiore è l’istanza in autotutela, che si legge in fondo a tutti gli avvisi di accertamento, e che talvolta viene acclamato dal funzionario di turno quale strumento utile al contribuente.
Nel diritto tributario, l’autotutela è l’istituto finalizzato all’annullamento ovvero alla modifica di un atto emanato dall’Amministrazione Finanziaria, che si presenti, in qualche modo, viziato. Spesso, infatti, avviene che l’Agenzia delle Entrate commetta degli errori, nell’inviare un atto riguardante un’imposta.
Può trattarsi di errori di mero calcolo, di errori di persona (spesso di omonimia), di errori connessi alla mancanza del presupposto dell’imposta, di errori materiali commessi dallo stesso contribuente ecc. Questi errori si possono, in via teorica, risolvere con l’autotutela, talvolta avviata dalla stessa Agenzia, talaltra proposta dal contribuente.
In linea di principio, con l’istituto dell’autotutela le parti possono richiedere l’annullamento totale o parziale (cosiddetta “rettifica”), la rinuncia all’imposizione, la revoca o la sospensione degli effetti dell’atto viziato.
Serve veramente l'Autotutela?
Ciò che, tuttavia, si deve considerare è che, il più delle volte, l’autotutela si rivela uno strumento piuttosto inutile.
Infatti, l’istanza non sospende i termini per presentare il ricorso, con la conseguenza che il contribuente è comunque tenuto ad impugnare l’atto, per l’eventualità, molto probabile, in cui la sua istanza venga rigettata o non riceva alcuna risposta.
Dopo anni di esperienza concreta, possiamo affermare che quasi mai l’Amministrazione risponde alle istanze di autotutela nei canonici 30 o 60 giorni messi a disposizione del contribuente per l’impugnazione; nei pochi casi in cui ciò avviene (circa il 10% delle ipotesi), la risposta si concretizza, comunque, in un diniego.
Ne discende, ovviamente, la quasi inutilità di fatto dello strumento giuridico in questione.
La Mediazione Tributaria
A ciò, si aggiunga anche l’istanza di mediazione: ai sensi dell’art. 17 bis, D. Lgs. n. 546/92, infatti, “per le controversie di valore non superiore a cinquantamila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell’ammontare della pretesa. La procedura di reclamo/mediazione deve essere conclusa, a pena di improcedibilità del ricorso, entro il termine di novanta giorni dalla data di notifica di quest’ultimo”.
Lo scopo del procedimento di mediazione tributaria è, sostanzialmente, quello di ottenere l’annullamento di un atto ritenuto illegittimo e per il quale si intende presentare ricorso.
Dal primo gennaio 2018, per effetto dell’art. 10 del DL.50/2017, è entrata in vigore la nuova mediazione tributaria: ai sensi della nuova normativa, se il contribuente presenta un semplice ricorso si apre in automatico una nuova fase amministrativa, che può concludersi con l’accoglimento del reclamo o con una mediazione tra il contribuente e l’ente. Tale fase amministrativa ha la durata di 90 giorni e si attiva, a differenza di ciò che accadeva prima, senza che il contribuente presenti un’apposita istanza di mediazione.
La finalità dell’istituto di mediazione tributaria è, chiaramente, quella di evitare l’insorgenza di ricorsi giurisdizionali in favore di una composizione amministrativa della controversia, mediante la presentazione di un’istanza che anticipa il contenuto del ricorso e chiede l’annullamento dell’atto.
E’ evidente però che, di fatto, l’istanza di mediazione si riduce ad una mera replica del contenuto della successiva istanza di annullamento, perdendo quasi del tutto la funzione sua propria.
Tanto necessariamente premesso, occorre valutare cosa accade nel caso in cui il contribuente, conformandosi all’indicazione del singolo soggetto, commetta in buona fede un illecito fiscale.
2. Il legittimo affidamento in Diritto tributario
Qualcuno sostiene che, sul piano della giustizia sostanziale, la violazione delcontribuente non dovrebbe essere sanzionabile.
Infatti, a norma dell’art 10, comma 1, l. 27 luglio 2000, n. 212, “i rapporti tra contribuente ed Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede”. Ed è evidente che il contribuente che commetta l’illecito attenendosi scupolosamente alle informazioni ricevute in via ufficiosa dal funzionario, non può che agire completamente in buona fede.
Proprio dal principio di buona fede, inoltre, deriverebbe anche quello di legittimo affidamento, secondo cui il contribuente può legittimamente confidare nel fatto che l’amministrazione finanziaria si comporti con correttezza e coerenza, osservando le sue precedenti determinazioni.
Tale principio, che trova origine negli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost, oltre che nell’art 10 dello Statuto del contribuente, “è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa e amministrativa”.(Cass., Sez. trib., sent. 6 ottobre 2006, n. 21513; Cass., Sez. trib, sent. 14 aprile 2004, n. 7080, Cass., Sez. V trib., sent. 10 dicembre 2002, n. 17576 e la recente Cass., Sez. V trib., sent. 13 maggio 2009, n.10982).
Del resto, il principio di buona fede in materia tributaria, desumibile dai principi costituzionali diimparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. e di solidarietà di cuiall’art. 2 Cost., non può che trovare massima concretizzazione nella tuteladell’affidamento del contribuente.
Tuttavia, il legittimo affidamento ammette delle deroghe, tanto più che l’orientamento pro – contribuente risulta, tuttora, fortemente discusso.
Basti pensare che perfino la Corte Costituzionale tende a dimostrare un atteggiamento piuttosto ostile rispetto alla filosofia dello Statuto del Contribuente cui si faceva riferimento.
E’ evidente che il tema è ancor più discusso allorché si entri nell’ambito delle informazioni non ufficiali rese dai funzionari delle amministrazioni (per l’ampiezza ed importanza del fenomeno).
Anzitutto, occorre rammentare che l’informazione ufficiale richiede specifici presupposti, di natura oggettiva e soggettiva.
2.1 La Provenienza da un Soggetto Abilitato e la Prova Scritta
Sotto il profilo oggettivo è, infatti, necessario che le informazioni vengano manifestate in un atto formale (o ancor meglio scritto!), mentre sotto il profilo soggettivo è richiesto che provengano da un organo abilitato ad emanarle.
Solo tali caratteristiche risultano, in concreto, idonee a conferire“ufficialità” alla presa di posizione dell’amministrazione.
Risulta, dunque, evidente che le informazioni orali (a sportello o telefonicamente) cui si faceva riferimento sono prive di qualsivoglia ufficialità, essendo carenti del necessario presupposto oggettivo.
Ne consegue che le informazioni non ufficiali provenienti dai funzionari possono, tutt’al più, essere paragonate a “pareri” espressi dai consulenti, trattandosi comunque di informazioni provenienti da “persona esperta” (per usare un’iperbole).
2.2 Non utilizzabilità e scusabilità dell’informazione orale
In sostanza, essendo prive del requisito oggettivo dell’atto formale, non possonofarsi valere nel giudizio tributario, salvo che il contribuente non sia in grado di procurarsi una prova scritta documentale delle informazioni ricevute.
In altri termini, l’informazione erronea data “oralmente” dagli uffici periferici dell’amministrazionefinanziaria o comunale, priva di adeguato supporto documentale, non sembra possa essere oggettivamente apprezzata quale fonte di scusa, in quanto non configura una manifestazione formale riferibile alla stessa amministrazione.
Del resto, la Corte di Cassazione ha chiarito che non c’è tutela del legittimo affidamento nelle ipotesi in cui“i funzionari si siano limitati a fornire generiche informazioni sul regime fiscale ai fini della semplificazione.È onere del contribuente procurarsi una prova scritta documentale delle informazioni ricevute, giacché ciò consentirebbe la tutela di cui all’art. 10, secondo comma, dello Statutodel processo burocratico senza influire sul processo decisionale del contribuente” (Cass., Sez. trib., 29agosto 2007, n. 18218).
Il principio di diritto che ne discende, in sostanza, è che le informazioni non ufficiali sono prive di valore giuridico e dunque non si configurano come elementi positivi idonei ad applicare al contribuente la scusante dell’affidamento.
3.Ulteriori considerazioni sul danno risarcibile
Non sembra, tuttavia, il caso di enfatizzare la questione: fermo restando che le informazioni non ufficiali sono, di per sé, prive di valenza giuridica, occorre comunque considerare che può capitareche si fondano su circolari o istruzioni diramate dagli organi superiori.
Qualche volta, i consigli degli incaricati trovano fondamento in atti formali, che, in quanto tali, costituiscono “elementi positivi qualificati” idonei a rendere applicabile la scusante dell’affidamento.
Si pensi alle circolari o agli interpelli: le circolari amministrative sono atti interni, attraverso cui le amministrazioni dettano precetti ai soggetti che operano al loro intero, per regolarne l’organizzazione e l’azione.
L’interpello rappresenta, invece, lo strumento attraverso cui il contribuente, in situazioni di obbiettiva incertezza normativa, può ottenere un parere dall’Amministrazione riguardante la disciplina del caso concreto.A tal proposito, è opportuno sottolineare che le risposte rese dall’Amministrazione finanziaria vincolano l’Amministrazione stessa (anche nei suoi uffici periferici).
Il legittimo affidamento del contribuente viene, peraltro, in rilievo sotto un ulteriore profilo, che è quello del “danno da comportamento illecito dei dipendenti degli Uffici finanziari.”
Proprio il già citato art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente, infatti, impone alle parti del rapporto tributario e, quindi, all’Agenzia delle Entrate, agli enti locali (ad es. il Comune per quanto di riguarda Tari e Permessi/autorizzazioni) ed agli altri enti titolari di potere impositivo, di comportarsi con correttezza e buona fede.
Ne discende ovviamente che, la p.a. risponde per i danni subiti dal contribuente che siano riconducibili alla violazione, da parte dei funzionari, dei doveri di diligenza e correttezza nell’espletamento dei compiti di ufficio.
Si tratta, infatti, di doveri posti da norme di legge o regolamenti a presidio dell’attività amministrativa, da interpretarsi alla luce dei valori costituzionali di imparzialità e buona amministrazione (artt. 41, commi 2 e 3, 47, comma 1, e 97, comma 1, Cost.) e costituenti limiti esterni alla attività discrezionale della P.A.
Anchel’Amministrazione, dunque, è responsabile verso i contribuenti per i comportamenti illeciti dei propri dipendenti, ogniqualvolta risulti lesa la norma primaria del “neminem laedere” di cui all’art. 2043 c.c.
Ovviamente, sotto tale profilo, la responsabilità dell’amministrazione è configurabile allorché il danno prodotto al contribuente dipenda da un comportamento del funzionario connotato da dolo o colpa. Deve sussistere, in altri termini, anche il cosiddetto “nesso causale” fra la condotta illecita ed il danno subito dal cittadino.
Si tratta, secondo la Corte di Cassazione (Cassazione civile, sez. III, sentenza 03/03/2011 n. 5120) di un vero e proprio codice di comportamento, rivolto ai dipendenti delle agenzie fiscali, oltre che di un segnale di civiltà e di corretta applicazione dei principi del diritto.
4. L’importanza di una consulenza legale preventiva
In conclusione, il contribuente che commetta un illecito sulla base di informazioni “non ufficiali” del funzionario, non può invocare a proprio favore il principio del legittimo affidamento, salvo che non sia in grado di produrre una prova documentale scritta.
Tuttavia, laddoveil contribuente subisca un danno direttamente dal comportamento illecito dei dipendenti degli Uffici finanziari (qualora la condotta sia provata per iscritto),trova una tutela proprio nello Statuto dei diritti del contribuente, oltre che nella disciplina della responsabilità extra contrattuale del codice civile, dunque, può ottenere un congruo risarcimento.
Resta sempre valido il buon consiglio del proprio avvocato di fiducia, prima di ogni azione che possa pregiudicare i propri diritti.