Assoluzione Datore di lavoro per condotta errata del lavoratore
Il datore di lavoro viene assolto qualora la difesa riesca a provare che il lavoratore abbia tenuto una condotta errata o non conforme a quanto richiesto dal titolare.
Giacomo è il titolare di un’azienda che opera da anni nel campo dello smaltimento dei rifiuti; a questo scopo ricorre al lavoro di diversi operatori ecologici.
Il datore di lavoro è anche laureato in legge e questo lo ha sempre aiutato a gestire meglio la normativa, anche antinfortunistica, legata allo svolgimento della sua attività.
L’uomo è stato sempre solerte nell’aggiornarsi circa le novità normative in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Nonostante il lavoro zelante che svolge in azienda, la persona incorre purtroppo in una vicenda particolarmente delicata: un operatore ecologico che presta la sua opera all’interno dell’azienda decede a causa di una manovra e movimentazione nell’utilizzo di un particolare macchinario.
Indagine per Omicidio Colposo per inosservanza della legge anti infortuni
L’imputato (titolare dell’azienda), infatti, viene raggiunto da un avviso di garanzia con cui lo si accusa di essere responsabile del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme poste a presidio della sicurezza sul lavoro, secondo quanto prevede l’articolo 589 del Codice penale rubricato “Omicidio colposo” che testualmente recita: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni” e che - al secondo comma – “Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni”.
Condanna per omicidio colposo sul lavoro
Rinviato a giudizio, successivamente, nel primo e nel secondo grado di merito, l’imputato viene ritenuto responsabile e quindi condannato per omicidio colposo aggravato per avere, quale datore di lavoro, omesso di valutare i rischi relativi all’attività di raccolta di rifiuti e per non aver fornito al lavoratore deceduto un’adeguata formazione/informazione sulla sicurezza, creando così le condizioni di rischio per il decesso dell’operatore ecologico.
Questi, infatti, secondo l’accusa, nello svolgere attività di raccolta dei rifiuti, utilizzava erroneamente una postazione di lavoro invece di un’apposita cabina, cadendo così fatalmente al suolo.
Condannato sia in primo che in secondo grado di giudizio, Giacomo è a dir poco disperato.
L’uomo teme, in primis, la reclusione ed, in secondo luogo, la richiesta di risarcimento del danno per perdita del rapporto parentale avanzata dagli eredi dell’operatore ecologico deceduto.
Anche la vita di relazione di Giacomo è scossa: l’uomo inizia ad essere irascibile sul lavoro e porta le sue preoccupazioni anche a casa, litigando spesso con moglie e figli.
La moglie cerca di confortarlo, ma sono molti di più i momenti di sconforto che quelli di tranquillità.
Nonostante le due condanne in entrambi i giudizi di merito, Giacomo decide di resistere alle accuse che gli vengono mosse dal PM e si rivolge ad un nuovo Avvocato Penalista di Diritto Penale del Lavoro con cui decide di non arrendersi.
Avvocato Penalista di Diritto Penale del Lavoro
Invero un esperto in materia di decessi e infortuni per elusione della normativa dettata in materia di salute e sicurezza dei lavoratori, può organizzare subito una puntuale difesa del suo assistito (soprattutto se viene incaricato sin dai primi giorni dell’incidente).
Per convincere i giudici, si insiste sulle prove raccolte durante il primo ed il secondo grado di giudizio, necessarie e sufficienti, ad escludere la responsabilità del datore di lavoro – suo assistito – per essere avvenuta, la morte del lavoratore, a causa di una condotta abnorme del lavoratore dovuta all’uso improprio del mezzo utilizzato da quest’ultimo.
Proprio tale improprio uso del mezzo, secondo l’avvocato di Giacomo, aveva provocato la morte dell’operatore ecologico e, a scagionare il datore di lavoro, era, quindi l’interruzione del nesso causale, tra la condotta dell’agente (la mancata o errata adozione delle misure antinfortunistiche) e l’evento infausto (la morte del lavoratore).
L’avvocato, quindi, richiamava tutta la giurisprudenza in materia nonché i principi di diritto elaborati negli anni dalla Corte e volti proprio ad escludere la responsabilità del datore di lavoro nel caso di condotta abnorme del lavoratore.
L’accusa di omessa valutazione dei rischi specifici della mansione del lavoratore
Secondo l’accusa, il fatto era addebitabile esclusivamente al datore di lavoro per avere questi omesso di valutare i rischi relativi all’attività di lavoro e per non aver fornito un’adeguata formazione nonché i mezzi e gli strumenti idonei atti a prevenire il decesso dell’uomo.
L’imputato dopo accesa discussione in aula viene assolto in via definitiva dall’accusa di omicidio colposo aggravato.
Le argomentazioni utilizzate dagli ermellini sono state anche trasfuse in diversi provvedimenti giurisprudenziali, nella quale si sono ribaditi anche alcuni principi di diritto relativi alle cosiddette “morti bianche”.
In sentenza la Corte afferma che, ai fini della risoluzione del caso specifico, era necessario anzitutto verificare che il ricorrente “in qualità di datore di lavoro, avesse omesso, nell’organizzazione dell’attività alla quale il soggetto passivo era addetto, di assicurare che i veicoli adibiti alla raccolta dei rifiuti venissero utilizzati dai dipendenti in maniera conforme alle prescrizioni e soprattutto di fornire loro un’adeguata formazione e informazione sui rischi connessi all’uso improprio e scorretto dei veicoli, anche con riferimento a condotte gravemente pericolose per la loro incolumità, come appunto quella oggetto del processo”.
Secondo la Corte, quindi, era necessario anzitutto indagare la sussistenza della cosiddetta “causalità della colpa” in relazione all’addebito relativo all’omessa formazione e informazione dei lavoratori sui rischi connessi all’uso improprio e scorretto dei veicoli e dei macchinari.
Come è noto, infatti, nei reati colposi, l’indagine sull’esistenza del nesso eziologico che lega la condotta dell’agente all’evento morte deve affrontare un problema necessario: accertare se la violazione della regola cautelare riscontrata abbia o meno cagionato l’evento.
In altre parole, nei reati colposi, l’accertamento del nesso eziologico si fonda su questo specifico rapporto tra inosservanza della regola cautelare di condotta ed evento, che viene designato con l’espressione “causalità della colpa” secondo quanto stabilisce l’articolo 43 del Codice penale che stabilisce che, nei reati colposi, è necessario che l’evento si verifichi a causa di negligenza, imprudenza, imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
In questi casi, dunque, è necessario, onde verificare se quella specifica violazione della regola cautelare abbia o meno cagionato l’evento (causalità della colpa), elaborare un giudizio controfattuale (cosiddetto “giudizio contro i fatti”) compiuto in relazione alla violazione della regola di cautela.
Tale giudizio, ad avviso della Corte, “consiste nell’operazione intellettuale mediante la quale, pensando assente una determinata condizione, ci si chiede se, nella situazione così mutata, si sarebbe verificata, oppure no, la medesima conseguenza. Esso costituisce pertanto il fondamento della teoria della causalità accolta dal nostro codice e cioè della teoria condizionalistica”.
Rischio Eccezionale ed Imprevedibile
Richiamando un'altra sentenza affine per materia, la Corte ribadisce che: “In tema di prevenzione antinfortunistica, perché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta colposa del datore di lavoro e l’evento lesivo, è necessario non tanto che essa sia eccezionale ed imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia”.
E che, invece: “Vi è esonero da responsabilità del datore di lavoro ove, a norma dell’articolo 41 del Codice penale, il nesso causale tra la sua condotta in ipotesi colposa e l’evento lesivo risulti interrotto da una causa sopravvenuta, sufficiente da sola a determinare l’evento, ciò che si verifica nei casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta. Tale interruzione del nesso causale è ravvisabile qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto e incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche, ponendo in essere un comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. In questi casi è configurabile la colpa dell’infortunato nella produzione dell’evento, con esclusione della responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia”.