Incidente mortale con un albero, accusato proprietario confinante
Maria è proprietaria di una villetta e di un appezzamento di terreno adiacente ad essa, che reca al suo interno una moltitudine di alberi secolari.
La donna abita la villetta, insieme al marito e alle due figlie e mai si sarebbe aspettata che la sua vita tranquilla potesse essere sconvolta da un incidente stradale che, però, non coinvolge nessuno dei membri della sua famiglia.
In un tranquillo giorno di primavera Maria viene sorpresa dal frastuono di un violento impatto, che pare provenire proprio dal confine del suo appezzamento di terreno con la strada. La donna, sentite anche le voci e le grida di alcuni passanti giunti sul posto, si precipita all’esterno della sua abitazione; subito le balza alla vista l’autovettura con a bordo una giovane donna, Silvia, che purtroppo decede sul colpo.
Il mezzo, infatti, ha impattato violentemente contro uno degli alberi secolari di proprietà di Maria e posti ad una distanza inferiore di 6 metri dal confine con la strada.
Intervengono sul posto le forze dell’ordine, che denunciano quanto accaduto e presto Maria viene raggiunta da un avviso di garanzia per omicidio colposo; alla donna si contesta di non aver adeguatamente protetto gli automobilisti dal rischio di imbattersi nell’albero secolare di sua proprietà.
Secondo l’accusa, infatti, la donna avrebbe dovuto rimuovere l’albero oppure proteggerlo con un guardrail, per evitare di recare pregiudizio a terzi.
Dopo l’avviso di garanzia, Maria viene rinviata a giudizio e si apre il processo penale per omicidio colposo a suo carico.
In primo grado la donna viene assolta, ma il Pubblico Ministero presenta ricorso in Corte di Appello e la sentenza di primo grado viene completamente ribaltata.
Maria, quindi, viene condannata per omicidio colposo, in quanto proprietaria dell’albero che insisteva troppo vicino alla strada e contro cui Silvia aveva impattato per poi perdere la vita.
Condannata per omicidio colposo in secondo grado per omicidio colposo
La donna è sotto shock, non si capacita di essere la responsabile della morte di un’altra donna e cerca conforto nella famiglia e negli amici, che la incoraggiano a continuare la sua difficile battaglia legale.
L’intera vita di relazione di Maria è a dir poco sconvolta da quanto la sta interessando sul piano processuale.
Il marito le consiglia anche una terapia psicologica, che la donna accetta di buon grado.
Un’amica della coppia, invece, Avvocato Penalista, la conforta sulla possibilità di ottenere una nuova assoluzione in Corte di Cassazione.
Maria, dunque, si determina a proporre ricorso e tenta di ribaltare la sua situazione processuale presso la Suprema Corte.
Avvocato Penalista Incidenti Mortali
Maria trascorre molto tempo a documentarsi in rete, cercando tra gli articoli di legge e le sentenze, qualche appiglio su cui fondare la sua richiesta di assoluzione.
La donna, però, non è esperta di diritto, e dunque si rivolge ad un Avvocatto Penalista competente in incidenti mortali, il quale le offre la possibilità di rappresentarla nell’ultimo e decisivo grado del processo.
L’imputata, fiduciosa del legame di fiducia, accetta di buon grado.
Dinanzi alla Corte di Cassazione Penale si fa nuova luce sulla vicenda e la difesa ha modo di far valere i motivi per ottenere la piena assoluzione di Maria.
La difesa parte analizzando l’articolo 26, comma 6 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada, secondo cui: “La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare per impiantare alberi lateralmente alla strada, non può essere inferiore alla massima altezza raggiungibile per ciascun tipo di essenza a completamento del ciclo vegetativo e comunque non inferiore a 6 metri”.
Ebbene, secondo l’avvocato penalista, l’albero, in quanto secolare, non soggiace a tale prescrizione normativa in quanto questa norma si riferisce non agli impianti già eseguiti, quale è l’albero secolare che ha provocato la morte di Silvia, ma solo ed elusivamente a quelli da eseguire.
Stante tale interpretazione dell’articolo 26, comma 6 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada, quindi, nessun obbligo di abbattimento dell’albero, né di protezione alla circolazione dei conducenti, incombeva sull’imputata.
Alla tesi sostenuta dal legale dell’imputata si oppone il Pubblico Ministero che, oltre al richiamato articolo 26, comma 6 del Regolamento di attuazione del Codice della Strada, richiama l’articolo 16 comma 1 lettera c) dello stesso Codice, secondo cui: “ai proprietari o aventi diritto dei fondi confinanti con le proprietà stradali fuori dei centri abitati è vietato impiantare alberi lateralmente alle strade, siepi vive o piantagioni ovvero recinzioni”.
Dal combinato disposto delle due norme, il Pubblico Ministero deduce la responsabilità penale di Maria per omicidio colposo in quanto questa è titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei terzi, scaturente proprio dalle norme richiamate.
Secondo l’accusa, dunque, la donna avrebbe dovuto rimuovere l’albero che ha provocato la morte di Silvia oppure proteggerlo con un guardrail proprio per evitare che esso diventasse fonte di sinistri per i conducenti.
Non avendo Maria operato nell’uno o nell’altro senso alla donna, secondo la pubblica accusa, quindi, va ascritta sicuramente una responsabilità penale per omicidio colposo.
La Cassazione accoglie le tesi dell’imputato
La Corte di Cassazione ribalta la sentenza di condanna della Corte di Appello e accoglie il ricorso presentato da Maria.
A sostegno della nuova sentenza di assoluzione, la Corte propone una diversa ricostruzione logico-giuridica della vicenda.
Ad avviso della Corte Suprema di Cassazione Penale, infatti, nessuna responsabilità penale può essere imputata a Maria e ciò proprio alla luce di una corretta interpretazione di cui agli artt. 16, comma 1, lett. c) del Codice della Strada e 26, comma 6, del regolamento di attuazione del Codice stesso.
Tali norme, infatti, come suggerito dalla difesa nel ricorso proposto, non si riferiscono agli impianti già eseguiti quale è l’albero in questione – che è un albero secolare - ma solo ed esclusivamente a quelli da eseguire.
Sulla donna, dunque, diversamente da quanto aveva sostenuto la Corte di Appello, non gravava alcuna posizione di garanzia, scaturente dal combinato disposto di queste due norme e quindi alcun obbligo di abbattere l’albero né di proteggerlo con un guardreil. Le due norme richiamate, infatti, non impongono ai proprietari di alberi già esistenti, che insistono ad una distanza inferiore a 6 metri dalla strada, di intervenire per rimuoverli o metterli in sicurezza, ma si riferisce solo agli impianti ancora da eseguire.
Tali obblighi, di rimozione o messa in sicurezza degli alberi, secondo la Corte di Cassazione, sono piuttosto ascrivibili all’ente proprietario della strada, nella fattispecie la Provincia, gravata dall’obbligo di garantire la sicurezza della strada ed esercitare il controllo allo scopo di neutralizzare eventuali fonti di pericolo, e non certo al proprietario del fondo contiguo alla sede stradale.
Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte di Cassazione, sez. IV Penale, ha escluso la responsabilità della proprietaria dell’albero secolare per il reato di omicidio colposo ed ha trasfuso tali considerazioni nella sentenza n. 10850 del marzo del 2019.
Responsabilità penale e responsabilità civile: piani distinti
La pronuncia della Corte di Cassazione esclude la responsabilità penale della proprietaria del fondo confinante con la sede stradale, ritenendo insussistente una posizione di garanzia penalmente rilevante in capo alla stessa, non essendo ravvisabile alcun obbligo giuridico di intervento sull’albero secolare preesistente.
Tale conclusione, tuttavia, non comporta automaticamente l’esclusione di ogni possibile profilo di responsabilità.
È principio consolidato, infatti, che responsabilità penale e responsabilità civile rispondano a presupposti differenti, sia quanto all’elemento soggettivo richiesto, sia quanto ai criteri di imputazione del fatto.
In ambito penale, la responsabilità per omicidio colposo presuppone l’esistenza di una posizione di garanzia fondata su una norma di legge o su una specifica assunzione di obblighi, elemento che la Suprema Corte ha ritenuto insussistente nel caso di specie.
In sede civile, invece, l’accertamento della responsabilità segue criteri autonomi, potendo rilevare anche profili diversi, quali l’eventuale custodia del bene o il concorso di più soggetti, secondo le regole proprie del diritto civile.
La sentenza in commento, pertanto, assume rilievo centrale nel chiarire i limiti della responsabilità penale del privato proprietario di fondi confinanti con la strada, riaffermando che gli obblighi di sicurezza e di prevenzione del rischio per la circolazione stradale gravano primariamente sull’ente proprietario della strada, cui spetta il dovere di vigilanza, manutenzione e neutralizzazione delle situazioni di pericolo.