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Manovra nel Piazzale - Incidente Mortale

ucciso dalla manovra di mezzi pesantiLa morte di un giovane lavoratore ha suscitato molto cordoglio. In molti si sono chiesti se poteva essere evitata e se qualcosa poteva essere rimproverato a chi aveva l’obbligo di vigilare sulla sicurezza delle sue mansioni.

Pioveva a dirotto infatti il giorno in cui il giovane veneziano è deceduto, così forte che a malapena si riusciva a guidare.

Eppure il giovane, alle dipendenze di una ditta che raccoglie vetro da riciclare, come faceva ogni giorno da un paio di mesi aveva cominciato a lavorare all’esterno, sotto la pioggia battente.

Egli era un analista che si occupava di analisi qualitative del vetro raccolto, per discernere quello riciclabile e valutare la qualità del vetro già lavorato.

Fino a qualche tempo prima, sedeva comodamente nella sedia del laboratorio interno ma poi, per chissà quale motivo, l’azienda aveva deciso di trasferire all’esterno queste operazioni.

Dovendo prelevare dei campioni di vetro da sottoporre ad analisi qualitativa, ha predisposto la sua postazione di lavoro, con le provette e i reagenti, immergendosi sulle complicate analisi.

Nello stesso piazzale vengono ammonticchiati tutti i quantitativi di vetro che i camion durante il giorno raccolgono dalle raccolte differenziate, scaricandoli direttamente nello stesso posto dove si trovano a transitare i pedoni come l’analista, i suoi colleghi e gli altri dipendenti.

Oltre ai camion che scaricano materiale, per il piazzale circolano anche gli altri mezzi che trasferiscono il vetro verso l’interno, pronto per essere riciclato e trasformato in una seconda vita.

Un incidente mortale sul lavoro che poteva essere evitato

Durante le operazioni di carico, un autoarticolato non riusciva a transitare nel piazzale perché il passaggio era ostruito dal cumulo di vetro dal quale la vittima stava prelevando i campioni per le analisi. Per consentire il transito del mezzo pesante, un operaio della ditta, alla guida di una pala meccanica, ha iniziato a spostare il materiale accumulato.

Nel corso della manovra, l’operatore ha accidentalmente investito la giovane vittima, che è deceduto sul colpo a causa delle gravissime lesioni riportate.

Di fronte alla morte di un dipendente, né il datore di lavoro né il responsabile della sicurezza, qualora le due cariche non coincidano, realizzano immediatamente quali potrebbero essere le conseguenze in termini legali.

Tuttavia, pur essendo preminente il dolore per la disgrazia, avviene in automatico che la polizia alla quale è stato segnalato l’infortunio mortale, sporga denuncia e cominci le indagini per omicidio colposo.

Ci sono alcuni reati dalla natura particolarmente grave, tra questi l’omicidio colposo, che non attendono l’impulso della parte offesa o dei suoi familiari perché partano le indagini, ma gli organi della giustizia agiscono autonomamente, d’ufficio.

Quando scattano le indagini per omicidio colposo

Entrambe le situazioni – quella dei familiari della vittima o quella del datore di lavoro coinvolto – richiedono che gli interessati si rivolgano prontamente all’ Avvocato Penalista che otterrà una copia dei verbali e si accerterà dell’avanzamento delle indagini.

Il processo penale, a differenza di quello civile, non prevede una successione di atti durante lo svolgimento ma si articola per lo più in forma orale, soprattutto nell’ambito della fase centrale che è il dibattimento.

Ciò nonostante, nella fase delle indagini preliminari i difensori possono sempre rivolgere al Pubblico Ministero (art. 367 Codice di Procedura Penale) richieste scritte, il difensore dell’indagato può utilizzare la memoria difensiva ex art. 415 bis c.p.p. per presentare richieste d’integrazione d’indagini o documenti, mentre ai sensi dell’art. 121 del Codice di Procedura Penale, all’avvocato difensore è sempre concesso depositare memorie scritte all’indirizzo del Giudice nelle quali, ad esempio, potrà chiedere di avvalersi di riti alternativi come il giudizio abbreviato nel caso di difesa dell’imputato, o potrà esplicitare le ragioni in opposizione alla richiesta di archiviare le indagini senza colpevoli, nel caso di difesa della parte offesa.

Le memorie scritte previste nell’ambito delle indagini sono tradizionalmente a forma libera, con indicazione dei dati essenziali ad identificare la parte in favore della quale sono prodotte e la notizia di reato di riferimento.

Una volta che le indagini sono concluse, ed è stato scelto il rito, la parte offesa dal reato – e per essa i suoi eredi – potrà predisporre per iscritto la costituzione di parte civile, qualora decida di citare in giudizio l’imputato per il risarcimento dei danni successivamente alla condanna penale.

Tale atto ha un contenuto piuttosto vincolato, dovendo specificare i danni subiti dalla vittima anche sotto il profilo quantitativo, a differenza delle altre memorie scritte previste nell’ambito penale che sono tradizionalmente a forma libera, con indicazione dei dati essenziali ad identificare la parte in favore della quale sono prodotte e del procedimento di riferimento.

Ed è seguendo questo percorso che il datore di lavoro e il responsabile della sicurezza si sono trovati imputati nel procedimento penale conseguente alle indagini condotte dall’autorità che ha investigato sulla responsabilità dell’accaduto, accanto ai familiari della vittima che si sono costituiti parte civile.

Datore di lavoro e sicurezza aziendale: dove nasce la responsabilità penale

Dopo la denuncia di ufficio, in primo grado il Tribunale ha condannato entrambi gli imputati per il reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro.

La Corte d'appello ha ridimensionato i profili di responsabilità degli imputati e ha ridotto le pene modificando in parte le circostanze del reato. Ha infatti riconosciuto che era stato prospettato il rischio di far circolare nello stesso piazzale pedoni e autoarticolati.

La Corte di Cassazione di Roma ha infine disatteso le risultanze del secondo grado, trovandole contraddittorie, e ha annullato la sentenza con rinvio.

I giudici della Suprema Corte sono partiti dall’assunto che, avvenendo l'attività di campionatura in una zona del piazzale in cui contemporaneamente transitavano mezzi di vario genere, vi era una interferenza tra pedoni e veicoli, in aree di lavoro non segnalate né delimitate e in zone di transito aventi spazi ristretti e numerosi cumuli di materiale stoccato.

Ulteriore elemento, che il legale rappresentante della società e datore di lavoro aveva delegato il Responsabile Prevenzione e Sicurezza alla adozione di misure, però conservando autonomia di spesa e dunque anche il dovere di vigilare sulla complessiva politica della sicurezza nell'azienda.

Mentre il Responsabile Prevenzione e Sicurezza esplicava attività in materia di sicurezza aziendale curando la predisposizione di progetti.

Egli era tenuto all’obbligo giuridico di collaborare con il datore di lavoro individuando i rischi e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli ma la Corte di Appello non ha analizzato se egli abbia commesso violazione di tale obbligo omettendo la necessaria segnalazione ai fini della rimozione del rischio connesso all'incontrollata circolazione dei veicoli nel piazzale.

Soprattutto, rimane poco chiaro se il ruolo del Responsabile implichi un autonomo potere di intervento o se si limita alla facoltà di suggerire interventi che poi devono essere posti in essere esclusivamente dal datore di lavoro.

Dalle risultanze processuali emerge che nella fattispecie egli avesse elaborato progetti e proposte ma che in assenza di delega alle spese, non fosse investito dell’obbligo di realizzare tali iniziative.

L’elemento che ha indotto i giudici della Cassazione ad annullare la sentenza e rimetterla dinnanzi al Giudice di seconde cure, è il fatto che le risultanze testimoniali erano concordi nel dichiarare che il Responsabile aveva segnalato il rischio al datore di lavoro, esaurendo così le proprie funzioni.

Non gli era passata inosservata la situazione di pericolo che si era venuta a creare nel piazzale, dove da qualche tempo, per via delle mutate politiche aziendali, le operazioni di analisi qualitativa degli elementi si facevano prelevando i campioni direttamente dal materiale accumulato all’esterno e non più nel laboratorio interno allo stabilimento.

La capacità decisionale e di spesa

Sebbene il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP) condivida con il datore di lavoro il compito di individuare i fattori di rischio presenti nell’organizzazione aziendale e di proporre le misure tecniche e organizzative idonee a ridurli, il suo ruolo non può essere sovrapposto a quello datoriale. La distinzione delle funzioni assume rilievo decisivo proprio sul piano della responsabilità penale.

L’RSPP, per definizione normativa (artt. 2 e 33 D.Lgs. 81/2008), svolge una funzione essenzialmente consultiva e propositiva: egli analizza i processi produttivi, valuta i rischi e formula indicazioni tecniche, ma non è titolare di un autonomo potere decisionale né, di regola, di una capacità di spesa. In assenza di una delega formale e specifica, corredata dei necessari poteri organizzativi ed economici, l’RSPP non è tenuto a dare concreta attuazione alle misure di sicurezza individuate, né può essere chiamato a rispondere per la mancata realizzazione delle stesse.

Proprio la mancanza di poteri esecutivi delimita l’area della sua responsabilità: questa si arresta alla fase della segnalazione del rischio e della formulazione di proposte tecniche adeguate.

Quando tali segnalazioni vengono effettivamente effettuate e portate a conoscenza del datore di lavoro, l’obbligo giuridico dell’RSPP può dirsi adempiuto.

Spetta invece al datore di lavoro valutare, decidere e finanziare gli interventi necessari, mantenendo su di sé il dovere di vigilanza sull’assetto complessivo della sicurezza aziendale.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione è costante nel ritenere che la responsabilità penale dell’RSPP possa configurarsi solo in presenza di condotte omissive qualificabili come gravemente colpose, quali l’omessa individuazione di un rischio evidente, la redazione di valutazioni manifestamente carenti o fuorvianti, ovvero la mancata segnalazione di situazioni di pericolo concretamente percepibili.

Al contrario, quando risulta provato che il Responsabile abbia correttamente individuato il rischio e lo abbia formalmente rappresentato al datore di lavoro, non può essergli imputata la mancata adozione delle misure di prevenzione rimaste inattuate per scelte aziendali estranee alla sua sfera di competenza.

In questo senso, l’assenza di autonomia di spesa non rappresenta un mero dato organizzativo, ma un elemento giuridicamente decisivo per delimitare il perimetro della responsabilità penale, evitando indebite estensioni di colpa a figure che, pur centrali nella gestione della sicurezza, non dispongono degli strumenti concreti per incidere sulle scelte operative dell’impresa.

Rischio interferenziale 

Diverso è il caso in cui l’attività lavorativa si svolga in un contesto caratterizzato dalla presenza contemporanea di più imprese operanti nello stesso spazio, con interferenze tra lavorazioni diverse. In tali ipotesi, la disciplina della sicurezza sul lavoro attribuisce un ruolo centrale al committente e, ove nominato, al terzo responsabile, quali soggetti titolari di una posizione di garanzia autonoma e rafforzata.

In presenza di rischi interferenziali, infatti, il legislatore impone obblighi specifici di coordinamento, cooperazione e controllo (art. 26 D.Lgs. 81/2008), che non possono essere delegati né trasferiti integralmente ad altre figure tecniche. Spetta al committente verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese coinvolte, promuovere lo scambio di informazioni sui rischi specifici e assicurare che le diverse attività si svolgano in condizioni di sicurezza, evitando sovrapposizioni pericolose tra uomini, mezzi e materiali.

In questo scenario, la responsabilità per eventi lesivi o mortali non può essere ricondotta all’RSPP di una singola impresa per il solo fatto di aver individuato o segnalato un rischio, ma tende invece a concentrarsi sul committente, quale soggetto che governa l’organizzazione complessiva del luogo di lavoro, e sul terzo responsabile, quando investito di poteri gestionali e decisionali in materia di sicurezza.

È su tali figure che grava l’obbligo di adottare misure concrete di prevenzione, di pianificare le lavorazioni e di impedire che le interferenze operative si traducano in situazioni di pericolo non governate. Ne abbiamo parlato anche in tema di sicurezza sul lavoro nel contesto del rischio incendio/esplosione (centrale termica ), in particolare sul concetto di non delegabilità.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che, in presenza di una pluralità di aziende, la posizione di garanzia del committente non si esaurisce in un controllo meramente formale, ma implica una vigilanza effettiva sull’assetto organizzativo e sulle condizioni di sicurezza dell’area condivisa.

Ne consegue che, laddove l’evento dannoso derivi da una carente gestione dei rischi interferenziali, la responsabilità penale (e quella civile in molte ipotesi) è destinata a gravare su chi aveva il potere – e il dovere – di coordinare e governare l’intero contesto operativo, e non su figure prive di autonomia decisionale e di capacità di spesa.

 

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