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Occupazione abusiva dell’alloggio ATER: parente dell’assegnatario

Quando si parla di occupazione abusiva ex art. 633 c.p. in relazione agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, non è tutto come può sembrare dagli atti del pubblico ministero.

La questione si complica ulteriormente quando l’accusato non è un estraneo, ma un parente dell’assegnatario, come un figlio, un nipote o un altro familiare.

È qui che la linea fra ospitalità e occupazione illecita si fa sottile, e spesso la valutazione dipende da elementi concreti più che da legami affettivi.

Il titolo di godimento amministrativo appartiene solo all’ente

L’articolo 633 del codice penale punisce chi “invade arbitrariamente terreni o edifici altrui al fine di occuparli o trarne profitto”.

Nella ratio di questa norma, l’elemento centrale è l’arbitrarietà dell’ingresso o della permanenza, cioè l’assenza di un titolo legittimo che giustifichi l’uso dell’immobile.

Nel caso degli alloggi ATER, l’unico soggetto titolato a concedere il godimento dell’immobile è l’ente gestore.

L’assegnatario non è proprietario, ma titolare di un diritto personale e limitato, che non gli consente di ospitare o insediare stabilmente altre persone senza preventiva autorizzazione.
Ne consegue che il consenso dell’assegnatario, anche se motivato da ragioni familiari, non basta a legittimare amministrativamente la presenza del parente nell’immobile, sempre e solo se questa si traduce in una convivenza stabile.

Quando la presenza del parente diventa penalmente rilevante

La condotta del familiare può integrare il reato di occupazione abusiva se si verificano determinate condizioni.

In primo luogo, deve trattarsi di una presenza stabile e continuativa, non di una semplice ospitalità occasionale, ne di una mera presenza sporadica.

In secondo luogo, il soggetto deve essere consapevole dell’assenza di titolo, cioè sapere che non è stato autorizzato dall’ATER e che la propria permanenza non è formalmente legittima.

L’esclusione della responsabilità in caso di accesso per manutenzione o custodia

Un’ipotesi del tutto diversa si presenta quando il parente accede all’alloggio non per abitarvi, ma per effettuare lavori di manutenzione, pulizia, vigilanza o custodia, specie se l’immobile è temporaneamente vuoto o in attesa di un nuovo assegnatario.

In tali casi, manca l’elemento soggettivo tipico del reato — l’intenzione di occupare o trarre profitto dall’immobile — e l’ingresso non può qualificarsi come “arbitrario” nel senso dell’art. 633 c.p.

Anzi, se il parente si limita a visitare periodicamente l’appartamento per prevenire intrusioni o occupazioni abusive da parte di terzi, agendo per spirito di tutela del bene e non per uso personale, la condotta è pienamente lecita, in quanto a tutela della proprietà ed in virtù dell'estensione del dovere di custodia .

La giurisprudenza riconosce che l’elemento psicologico dell’invasione è incompatibile con un comportamento di mera custodia o con un intervento manutentivo volto a conservare l’integrità dell’immobile, purché ciò avvenga in modo temporaneo, trasparente e senza alterare la disponibilità effettiva del bene da parte dell’ATER.

Ospitalità familiare e limiti di liceità

Diverso ancora è il caso in cui la presenza del parente sia temporanea, motivata e compatibile con la natura dell’ospitalità.

Se il soggiorno è breve, giustificato da esigenze di assistenza, malattia, emergenza abitativa o affetto, e non incide sulla disponibilità dell’immobile, allora non si può parlare di invasione o occupazione in senso penalistico.

In tali ipotesi, eventuali contestazioni restano sul piano amministrativo: l’ATER può revocare l’assegnazione o sanzionare l’assegnatario per violazione delle condizioni contrattuali, ma non si configura un reato penale.

Le prove necessarie per sostenere l’accusa

Perché l’accusa di occupazione abusiva sia fondata, il pubblico ministero deve dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la presenza del parente non è episodica né giustificata, ma esprime una volontà stabile di insediamento.
A tal fine, sono decisive alcune prove:

  • accertamenti di polizia o dei vigili ATER, che attestino la presenza continuativa del soggetto nell’alloggio;
  • testimonianze dirette della frequenza e alla durata della permanenza;
  • documenti o utenze domestiche (bollette, corrispondenza, effetti personali) che indichino un uso abituale in seduta stabile dell’immobile;
  • eventuali dichiarazioni dell’ente che escludano la presenza del soggetto tra i conviventi autorizzati;
  • e infine, la mancanza di un titolo legittimo o di una comunicazione all’ATER.

Senza questi elementi, l’accusa rischia di ridursi a una semplice supposizione di occupazione, priva di base probatoria sufficiente a sostenere la responsabilità penale.

Occupazione o Aiuto al parente?

Il confine tra ospitalità e occupazione abusiva non è rigido, ma va tracciato caso per caso con l'assistenza di un ottimo Avvocato Penalista.

Conta la durata della permanenza, la consapevolezza dell’irregolarità, e la volontà di trarre vantaggio dall’immobile.

Essere un parente dell’assegnatario, dunque, non esclude in astratto la possibilità di incorrere nel reato, ma può rappresentare un elemento da valutare nella proporzione della risposta penale, specie se la condotta nasce da esigenze familiari genuine o di tutela del bene.

In definitiva, l’alloggio ATER rimane un bene pubblico, con regole che tutelano non solo l’ente ma anche l’equità nell’assegnazione.

Chi vi abita senza titolo, anche se per legame di sangue con l’assegnatario, rischia di trovarsi — giuridicamente parlando — dalla parte dell’invasore, a meno che la propria presenza non sia motivata da ragioni di custodia, assistenza o tutela dell’immobile, prive di qualsiasi intento occupazionale.

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