Omicidio colposo del lavoratore - Avvocato diritto penale del lavoro
Purtroppo molto spesso la condotta negligente del lavoratore mette a rischio la vita dell'operaio, e mette in moto la macchina della giustizia.
In questo caso un elettricista è morto cadendo da un solaio che ha ceduto, nonostante le misure di prevenzione adottate dal datore di lavoro, il quale ha poi dovuto sostenere tre gradi di giudizio per provare la propria assoluzione dall'imputazione di omicidio colposo con l'aiuto di un Avvocato Penalista del Lavoro.
Aldo (nome di fantasia a tutela della privacy) è il titolare di una ditta che opera da anni nel settore dell’edilizia.
Data la sua pluriennale esperienza, è perfettamente a conoscenza della normativa dettata in materia di prevenzione degli infortuni e delle morti sul lavoro; è un uomo scrupoloso e tiene al fatto che i suoi subordinati operino in perfetta sicurezza.
Per questo, diligentemente, Aldo raccomanda anche al Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) di adottare tutte le misure antinfortunistiche previste dalla normativa di settore; non solo, di agire, in ogni caso nel rispetto delle comuni regole di diligenza, prudenza e perizia.
Aldo ha anche un buon rapporto con tutti i suoi dipendenti e non avrebbe certo mai immaginato di trovarsi coinvolto, suo malgrado, in uno spiacevolissimo incidente.
Morto Elettricista a causa di una caduta dall'alto
L’incidente accade in un giorno di Novembre , quando Aldo viene a sapere dal suo RSPP che – purtroppo! – c’è stata una morte accidentale in cantiere: un operaio elettricista manutentore, nell’eseguire lavori di posa in opera di fari per l’illuminazione di un’attività commerciale, a causa del cedimento di un elemento, è precipitato al suolo dall’altezza di circa sei metri.
Purtroppo, il trauma cranico che segue la caduta, non lascia scampo al povero elettricista che, dopo un lungo calvario in ospedale, decede, lasciando alla moglie ormai vedova la cura del loro unico figlio.
La donna, dopo poco tempo, denuncia l’accaduto alle Autorità competenti, chiedendo ad Aldo anche un cospicuo risarcimento del danno.
Prima, però, l’uomo è chiamato a rispondere penalmente, insieme al suo RSPP, per non avere adottato tutte le misure idonee a prevenire l’evento occorso al malcapitato elettricista.
Un avviso di garanzia raggiunge quindi Aldo ed il suo RSPP.
Misure idone a prevenire gli infortuni sul lavoro
Raggiunto dall’avviso di garanzia, Aldo cade in uno stato di profonda amarezza per quanto sta accadendo: è sempre stato ligio sulla predisposizione delle misure e dei presidi antinfortunistici e sa bene cosa gli è consentito e cosa no quale datore di lavoro responsabile della salute e della sicurezza sul lavoro di tutti i suoi collaboratori.
L’uomo si confronta anche con il suo RSPP e anche questi lo conforta del fatto che da sempre, anche grazie al suo scrupoloso lavoro, la ditta – come in questo caso specifico – adotta tutte le misure idonee a prevenire gli infortuni e le morti sul lavoro.
Nonostante le rassicurazioni del suo RSPP, i rapporti tra Aldo e questi, si incrinano: entrambi sono nervosi e sconfortati per quanto sta avvenendo.
Non solo, Aldo comincia ad avere anche dei problemi relazionali con la moglie ed i figli: teme non solo di dovere elargire un cospicuo risarcimento alla donna, ma anche di rispondere penalmente per un reato – secondo lui – mai commesso!
Avvocato diritto penale del lavoro - omicidio e lesioni colpose
Aldo decide quindi di rivolgersi ad un buon Avvocato nel settore di diritto penale del lavoro (per omicidio e lesioni colpose) per risolvere l’increscioso problema in cui è occorso; vuole ottenere un assoluzione ed evitare il risarcimento per danno da perdita del rapporto parentale lamentato dalla moglie dell’elettricista morto sul luogo di lavoro.
L’avvocato esamina la situazione insieme ad un perito di parte e analizza tutte le carte dopodiché conforta Aldo dacchè, secondo lui, ci sono buone possibilità che l’uomo venga completamente assolto in sede penale e venga contestualmente sollevato dall’onere di corrispondere il risarcimento del danno per la morte del lavoratore.
Le prime condanne, prima dell'assoluzione
L’iter processuale si rivela più lungo di quanto Aldo possa immaginare.
Nel primo e secondo grado di giudizio, purtroppo, l’uomo viene condannato per essere incorso, in concorso col suo RSPP, nei reati di cui agli articoli 589 del Codice Penale (Omicidio colposo) e 113 del Codice Penale (Cooperazione nel delitto colposo).
Non solo, la parte civile, nella persona della moglie dell’elettricista, lamenta la violazione di alcuni articoli del DPR n. 164 del 7 Gennaio 1956, recante Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni.
Aldo, però, avverso tali decisioni, decide di ricorrere – insieme al suo RSPP con unico atto - in Corte di Cassazione e presentare ricorso.
In ricorso, l’avvocato di Aldo fa valere la mancanza parziale, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione della sentenza di Appello impugnata, in relazione: all'omessa valutazione di controprove dichiarative decisive assunte nel corso dell'istruttoria dibattimentale, al parziale travisamento del fatto e alle incongruenze logiche ed all'incoerenza delle conclusioni rispetto ai dati probatori processuali raccolti.
La sentenza di Appello, quindi, secondo l’avvocato penalista del lavoro, avrebbe completamente disatteso tutte le circostanze emerse nell'istruttoria dibattimentale compiuta in primo grado.
Comportamento negligente del lavoratore
Da tale attività istruttoria sarebbe emerso, secondo la difesa, che la causa della morte del lavoratore era da imputare esclusivamente al comportamento negligente, avventato, imprudente ed abnorme del lavoratore, vittima dell'infortunio, che del tutto autonomamente aveva deciso di effettuare i lavori mediante pedinamento del tetto in eternit, quindi secondo modalità peculiari, non concordate con l’RSPP, ed esorbitanti le prescrizioni di quest’ultimo.
Il legale di Aldo, quindi, precisava di non chiedere alla Corte la verifica delle risultanze probatorie al fine di verificare la sussistenza di una diversa ricostruzione dei fatti, ma di verificarle per accertare il rispetto dell'obbligo di corretta motivazione, nonché i criteri adottati per la valutazione complessiva delle prove acquisite.
Il legale, infatti, in ricorso, evidenziava l'avvenuta adozione da parte dei ricorrenti, di tutte le necessarie precauzioni di sicurezza atte a prevenire l’evento morte del lavoratore deceduto.
Il comportamento degli imputati, quindi,era stato del tutto corretto, adeguato e rispettoso delle norme anti-infortunistiche ed immune da qualsiasi profilo di colpa.
L'unica causa dell'incidente non poteva che considerarsi il comportamento tenuto dal lavoratore deceduto, comportamento del tutto imprevedibile all’RSPP, non ipotizzabile dal datore di lavoro ed elusivo delle norme antinfortunistiche predisposte da questi ultimi.
Inoltre, il lavoratore aveva – addirittura! - violato gli obblighi impostigli, tenendo una condotta abnorme che ha costituito una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento (ex articolo 41 Codice penale comma 2 sul concorso di cause).
L'Avvocato Penalista del lavoro, quindi, chiedeva con ricorso alla Corte di doversi annullare senza rinvio la sentenza impugnata di Appello e l’assoluzione di Aldo e del suo RSPP.
Tesi dell'Accusa: elementi di prova univoci
Dal canto suo, il Pubblico Ministero insisteva sulla bontà della sua linea di difesa: la sentenza di Appello andava confermata per entrambi gli imputati per violazione degli articoli 589 e 113 del Codice penale nonché degli articoli 70 e 77 del Decreto del Presidente della Repubblica n.164 del 1956 recante le disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni.
Il PM contestava quindi la mancanza parziale, la contraddittorietà e l’illogicità della motivazione della sentenza di Appello impugnata e fatta valere dalla difesa di Aldo: secondo il PM gli elementi di prova erano stati correttamente valutati dai giudici di primo e secondo grado e la motivazione della sentenza era completa, logica e non contraddittoria.
Difetto di certezza processuale della colpevolezza
Esaminati i motivi di ricorso, la Cassazione accoglie la tesi prospettata dall’avvocato dell'imputato Aldo.
La Corte ricorda, anzitutto, che il giudizio penale di condanna presuppone la certezza processuale della colpevolezza, mentre all'assoluzione dell’imputato deve pervenirsi in tutti quei casi in cui vi sia anche la semplice non certezza e, dunque, anche il "ragionevole dubbio" sulla colpevolezza. In altre parole, la sentenza di condanna deve essere pronunciata soltanto se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio, così come vuole l’articolo 533 Codice di procedura penale.
Nel caso di specie, la Corte rileva un'ipotesi di travisamento della prova, sindacabile in sede di legittimità, dovendo e potendo il giudice della legittimità verificare l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento.
Ad avviso della Corte, i due imputati, quindi Aldo ed il suo RSPP, avevano apprestato tutte le misure idonee atte a prevenire l’evento morte del lavoratore e questi, invece, aveva avuto un comportamento abnorme sfuggito a tali prescrizioni e precauzioni.
In questo, secondo la Corte è consistito il travisamento delle prove sindacabile in sede di legittimità: nell’avere cioè interpretato i giudici di merito male gli elementi di prova emersi in dibattimento.
Era stata, cioè, omessa o comunque travisata la valutazione di una prova decisiva: la possibilità che tutte le operazioni fossero svolte secondo le prescrizioni dell’RSPP e secondo gli strumenti antinfortunistici forniti da questi.
La Corte ha modo in sentenza di ribadire il principio, già più volte affermato, per cui: non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre comunque all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante dal richiamato comportamento imprudente.
Tuttavia, in questo caso, tutte le cautele possibili da assumersi ex ante erano state assunte dal datore di lavoro e dal suo RSPP.
In questo caso, quindi, secondo la Corte, rileva il concetto di comportamento "esorbitante", diverso da quello "abnorme" del lavoratore.
Autoresposanbilità del Lavoratore deceduto - assoluzione dell'imputato
Il primo riguarda quelle condotte che fuoriescono dall'ambito delle mansioni, ordini, disposizioni impartiti dal datore di lavoro o di chi ne fa le veci, il secondo, quello abnorme, si riferisce a quelle condotte poste in essere in maniera imprevedibile dal prestatore di lavoro al di fuori del contesto lavorativo, cioè, che nulla hanno a che vedere con l'attività svolta.
Inoltre, la recente normativa (Testo Unico del 2008 n.81) impone anche ai lavoratori di attenersi alle specifiche disposizioni cautelari e comunque di agire con diligenza, prudenza e perizia.
La Corte ribadisce il “principio di autoresponsabilità del lavoratore”.
Il datore di lavoro non ha più, dunque, un obbligo di vigilanza assoluta rispetto al lavoratore, ma una volta che ha fornito tutti i mezzi idonei alla prevenzione, egli non risponderà dell'evento derivante da una condotta imprevedibilmente colposa del lavoratore.
E’ quanto avvenuto in questo caso esaminato dalla Corte che, quindi, dispone l’annullamento senza rinvio della sentenza di Appello e l’assoluzione di entrambi gli imputati.
Le considerazioni di cui sopra sono state anche nel caso di un operaio caduto da un capannone nelle medesime circostanze.
Quanto detto tuttavia non esonera la famiglia del dipendente da un cospicuo risarcimento del danno, ove ci siano i presupposti dal punto di vista civilistico.