Appropriazione indebita della pensione del defunto - conto cointestato
L'appropriazione indebita della pensione del defunto è un reato previsto all’articolo 646 del Codice penale; si tratta di una norma concepita in un’ottica estensiva che si presta, quindi, ad essere applicata ad una molteplicità di casi concreti e diversi.
Il reato di appropriazione indebita si ritiene integrato quando l’agente, al fine di procurare a sé stesso o ad altri un ingiusto profitto, si “appropria” del denaro o della cosa mobile altrui, di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso; la pena in questi casi è della reclusione (da 2 a 5 anni) e della multa (da 1.000 a 3.000 Euro).
Per espressa previsione dell’articolo 646, tale reato è perseguibile solo a querela della persona offesa dal reato.
Ebbene, un recente caso di Cassazione, ha esteso l’applicazione di questa norma al caso in cui il congiunto del defunto si appropri dei ratei pensionistici versati sul conto corrente cointestato.
Si tratta di una sentenza interessante, che permette anche di delineare alcuni tratti tipici di questa fattispecie di reato e di distinguerla da un’altra norma che pure si riteneva applicabile a tali casi: l’articolo 316-ter del Codice penale.
Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato
Per risolvere il caso che ci occupa, concernente l’indebita appropriazione dei ratei pensionistici da parte del congiunto del defunto, è necessario – preliminarmente – considerare l’articolo 316-ter del Codice penale, che pure avrebbe potuto astrattamente applicarsi al caso di specie.
Questa norma punisce l’agente che, mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, percepisce oppure ottiene, indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee.
La pena comminata in questi casi è della reclusione, da sei mesi a tre anni.
Tuttavia, lo stesso articolo stabilisce che la pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri oppure se il fatto offende gli interessi finanziari dell'Unione europea ed il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000.
La norma, infine, prevede che la pena è diminuita, e consiste solo in una sanzione amministrativa (da euro 5.164 a euro 25.822), se la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96. E, comunque, la sanzione amministrativa applicata non può superare il triplo del beneficio conseguito.
Omissione di comunicazione della morte
Il caso arrivato all’attenzione del Tribunale concerneva il congiunto, nella specie il figlio, di una signora defunta che era stato ritenuto responsabile - e quindi condannato - sia in primo che in secondo grado di giudizio proprio per il reato di cui all’articolo 316-ter del Codice penale, quindi per indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.
Il figlio della defunta, infatti, secondo l’accusa e poi i giudici di merito, aveva omesso di comunicare alla fondazione-ente erogatore del trattamento pensionistico di cui beneficiava la madre, l’intervenuto decesso della beneficiaria, obbligo di comunicazione imposto dall’art. 72 del d.P.R. n. 396 del 2000.
Tuttavia, tale obbligo di comunicazione era stato, invece, assolto dal ricorrente nei confronti dell’INPS e, secondo la difesa dell’uomo, era proprio tale ente previdenziale che aveva l’onere di comunicare alla fondazione la morte della beneficiaria.
Per questo, secondo l'Avvocato Penalista difensore il ricorrente sarebbe dunque stato in buona fede allorché aveva continuato a ricevere sul conto cointestato con la madre, caratterizzato da plurime movimentazioni risalenti alla sua attività professionale, il trattamento pensionistico.
Inoltre, la difesa insisteva anche sulla diversa qualificazione del titolo del reato: la condotta del ricorrente avrebbe integrato al più la fattispecie di cui all’art. 646 del Codice penale e, quindi, si trattava di appropriazione indebita, reato improcedibile, nel caso di specie, per mancata esposizione della querela.
Appropriazione Indebita delle somme cointestate del pensionato
La Corte di Cassazione accoglie la tesi secondo cui si ritiene configurato il reato di Appropriazione Indebita delle somme cointestate del pensionato.
La Corte ritiene, anzitutto, che per l’integrazione della fattispecie di cui all’art. 316-ter del Codice penale, è necessario che la percezione delle erogazioni pubbliche sia comunque avvenuta dietro la presentazione di documenti falsi (quindi attraverso una condotta attiva) ovvero, per quanto rilevava nella fattispecie in esame, a cagione della omessa comunicazione di informazioni “dovute” (quindi attraverso una condotta omissiva).
Ciò posto, quanto alla doverosità di tale comunicazione, in sentenza veniva evidenziato che l’art. 72 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 prevede l’obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal decesso, all’ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto, a carico dei congiunti o della persona convivente con il defunto o di un loro delegato o – in mancanza – della persona “informata” del decesso ovvero (in caso di morte in un ospedale, casa di cura, altro istituto o simili) in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato.
Al contempo, in sentenza, si faceva menzione all’art. 34 della legge 21 luglio 1965, n. 903 e all’art. 31, comma 19, legge 27 dicembre 2002, n. 289 che fanno obbligo al responsabile dell’Ufficio Anagrafe del Comune di comunicare all’ente di previdenza la morte dell’assicurato e al fatto che lo stesso art. 31, comma 19, legge 27 dicembre 2002, n. 289 stabilisce che, a seguito delle comunicazioni dei Comuni relative ai decessi, l’INPS, sulla scorta dei dati del Casellario delle pensioni, comunica le informazioni sui decessi agli enti erogatori di trattamenti pensionistici.
Stante questo quadro normativo, secondo i giudici, doveva ritenersi, quindi, che nel caso di specie, mancava un elemento costitutivo della fattispecie di reato di cui all’articolo 316-ter e cioè l’omissione di comunicazioni e cioè la condotta omissiva richiesta dalla norma che descrive il reato di indebite percezioni di erogazioni a danno dello Stato.
Di conseguenza, secondo i giudici di legittimità, il fatto contestato doveva essere riqualificato quale appropriazione indebita ai sensi dell’art. 646 del Codice penale.
Tale delitto è perseguibile a querela, tuttavia questa non era stata sporta in questo caso specifico.
Per questo, la sentenza impugnata doveva essere annullata, senza rinvio, per originaria mancanza della suddetta condizione di procedibilità.