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Frode in Commercio se il Ristoratore serve Pesce surgelato e diverso

bianchetto pesce L’art 515 c.p. punisce la condotta di chi “nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero di uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità diversa da quella dichiarata o pattuita” (con reclusione fino a 2 anni).

Trattasi di reato proprio, il cui soggetto attivo è necessariamente l’esercente un’attività commerciale, industriale o comunque produttiva, anche se non necessariamente imprenditore.

La ratio incriminatrice della norma si coglie nell’esigenza di garantire la correttezza e la lealtà nelle operazioni commerciali; l’art 515 c.p. tutela, dunque, sia l’interesse pubblico al corretto andamento del mercato, sia quello strettamente privato a non subire ingiustificate lesioni patrimoniali.

Integra il reato la consegna all’acquirente di un prodotto “diverso” da quello dichiarato o pattuito: non ogni difformità, tuttavia, è penalmente rilevante, ma solo quella “rilevante” per la determinazione del consumatore all’acquisto.

A tal proposito, la differenza può essere sia di tipo quantitativo che qualitativo: mentre la difformità quantitativa inerisce ad una mera differenza di numero, peso, misura e dimensioni del prodotto, invece la difformità qualitativa investe la sua utilizzabilità, pregio o grado di conservazione.

Prodotti scongelati vietati

Un esempio classico di difformità qualitativa è dato dalla vendita di prodotti scongelati come se fossero freschi: il consumatore ha, infatti, diritto ad essere informato circa il reale stato dell’alimento acquistato, sicché è vietata la somministrazione nei ristoranti di pietanze per le quali vengano utilizzati prodotti scongelati senza che sia espressamente indicato nel menù.

Sotto tale profilo, la norma è volta anche a tutelare la legittima aspettativa dei consumatori a che nella preparazione del prodotto vengano utilizzate materie prime fresche, salvo che non venga diversamente specificato.

Il reato di frode in commercio nel settore ristorazione

Il ristoratore deve, quindi, prestare molta attenzione a quanto dichiarato nel menù, che è parte del “contratto” stipulato con il cliente.

Non è neppure necessario che il prodotto venduto produca un danno effettivo alla salute del consumatore: è, infatti, sufficiente che all’interno del locale sia presente della merce con caratteristiche apprezzabilmente diverse da quelle dichiarate.

In tal caso, più precisamente, la condotta verrà punita a titolo di tentativo, ai sensi e per gli effetti di cui all’art 56 c.p.

Ovviamente, per evitare la commissione di reati all’interno del ristorante, il titolare è tenuto anche a formare adeguatamente il proprio personale, tanto più negli esercizi di piccole dimensioni.

Per la giurisprudenza, infatti, grava sul titolare l’obbligo di impartire ai propri dipendenti precise disposizioni e di vigilare sulla loro osservanza; “in difetto di istruzioni, si configura il reato di cui all’art. 515 c.p., sia allorquando alla condotta omissiva si accompagni la consapevolezza che da essa possano scaturire gli eventi tipici del reato, sia quando si sia agito accettando il rischio che tali eventi si verifichino”.(cfr. Cass. Pen. 14257/2015).

La Suprema Corte di Cassazione, inoltre, aderendo all’orientamento sopra citato, ha ribadito che risponde per frode in commercio il ristoratore che non indichi nel menù l’utilizzo di prodotti surgelati.

No ad indicazioni generiche

In particolare, i giudici si sono domandati se possa costituire una valida informativa al cliente la mera dicitura, spessa inserita alla fine del menù, “gentile cliente, la informiamo che alcuni prodotti possono essere surgelati all’origine o congelati in loco rispettando le procedure di autocontrollo ai sensi del Reg. CE 852/2004. La invitiamo quindi a volersi rivolgere al responsabile di sala per avere tutte le informazioni relative al prodotto che desiderate” e simili.

Ebbene, secondo la Cassazione una siffatta dicitura non è in alcun modo idonea a fornire una puntuale informazione sulla qualità del prodotto venduto, in particolare sulla sua origine fresca, congelata o surgelata, rimettendosi al cliente l’iniziativa di rivolgersi al personale di sala per avere le informazioni desiderate.

Asterisco per indicare prodotti surgelati

L’utilizzo di prodotti congelati deve, infatti, risultare con immediata evidenza, ad esempio apponendo asterischi al fianco dei prodotti surgelati ovvero inserendo un’avvertenza in grassetto prima della lista delle pietanze, e non già in fondo o a margine del menù, per giunta con carattere minuscolo.

Secondo gli Ermellini si tratta, infatti, anche di tutelare la buona fede del consumatore, tanto più quando si trovi in ristoranti stellati o, comunque, d’èlite.

Ne deriva, dunque, la responsabilità del ristoratore ex art 515 c.p., per non aver fornito un’adeguata conformazione grafica idonea ad informare il cliente, inducendolo a credere che il prodotto fosse fresco (Corte di Cassazione - III sez. pen. - sentenza n. 38793 del 22-08-2018).

Pesce surgelato e diverso dal menù è frode in commercio 

frode in commercio bianchetti pesce surgelatoIn ultima analisi, giova accennare ad un caso concreto, su cui la giurisprudenza si è pronunciata in tempi recentissimi. 

L’imputato, in qualità di titolare di un esercizio pubblico operante nel settore dellaristorazione, era stato condannato dai giudici di merito per aver posto in essere “atti diretti in modo non equivoco a somministrare agli avventori prodotti diversi da quelli pubblicizzati nei menù”, ai sensi degli artt. 56 e 515 c.p.

In particolare, questi aveva utilizzato per le preparazioni pesci ghiaccio al posto dei pubblicizzati pesci bianchetti e prodotti congelati senza alcuna specifica indicazione sul menù.

Ebbene, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato la condanna, facendo anche riferimento ad alcune circostanze fattuali emerse in sede di ispezione del ristorante.

Gli Operatori avevano, infatti, rilevato che “gli alimenti giacevano nei fricongelatori senza alcuna protezione ed alla rinfusa, erano ricoperti di liquidi rappresi e presentavano tracce di rifiuti non identificati nonché tracce di bruciatura da freddo, erano ricoperti altresì di brina,segno di una lenta penetrazione del freddo con la creazione dei macrocristalli. In cucina viera un frigorifero abbattitore di temperatura che, all’atto ispettivo, era spento ed utilizzatocome dispensa”.

Inoltre, all’interno del ristorante vi erano due menù: su uno dei due, per i gamberi, era riportata l’espressione “a seconda del mercato potrebbero essere surgelati”, mentre sull’altro era indicato che “alcuni prodotti potrebbero essere congelati”, senza indicare quali; in ogni caso, all’esito della verifica, non risultavano presenti all’interno del ristorante prodotti freschi, ma solo ed esclusivamente congelati.

La Cassazione, dunque, ha ritenuto corretto applicare la sanzione penale al ristoratore, anche laddove gli fosse stata già irrogata la sanzione amministrativa.

Secondo i giudici, infatti, non vi sarebbe alcuna violazione del principio del ne bis in idem, in quanto la sanzione amministrativa assolve ad una funzione di prevenzione della salute pubblica, mentre la sanzione penale “intende reprimere la frode in commercio e quindi assicurare la tutela dei consumatori alla corretta e non decettiva informazione sugli alimenti che vengono somministrati e sulle modalità di conservazione e somministrazione.”

Da tale principio di diritto, sembra potersi dedurre che il ristoratore deve prestare la massima attenzione nella scrittura e presentazione del menù, potendo rischiare perfino l’applicazione cumulativa della sanzione amministrativa e della sanzione penale, ai sensi dell’art 515 c.p.

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