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Avvocato per reato di Violenza Sessuale sul Partner

Non può obbligarsi il proprio partner a fare sesso.

Questa è la storia giudiziaria di due ragazzi che si frequentavano da diversi mesi, a dire di lei con alti e bassi, non proprio la storia idilliaca che le bambine sognano; fin dall’inizio della relazione l’uomo aveva infatti manifestato un carattere irruento, talvolta troppo impulsivo ed aggressivo, ma certamente nessuno avrebbe immaginato che sarebbe arrivato ad una violenza sessuale.

Ed è proprio nel corso di una serata apparentemente tranquilla trascorsa presso l’abitazione della donna che il compagno manifestava tutta la sua natura violenta.

A scatenare il tutto una richiesta di lui: consumare un rapporto sessuale con la propria partner secondo modalità particolari, richiesta alla quale però la compagna non avrebbe inteso sottostare.

Iniziava a questo punto il primo episodio chiarificatore della natura dell’uomo, che reagiva a tale rifiuto in maniera violenta, come successivamente riportato alle forze dell’ordine da parte della donna, insistendo in modo feroce e riuscendo a realizzare con la forza le sue iniziali intenzioni sessuali, percuotendo la compagna in ogni parte del corpo, in particolare alla testa, senza che quest’ultima riuscisse a liberarsi dalla forte stretta di lui.

In queste occasioni la dinamica è sempre la stessa, lei lascia lui, lui torna da lei, chiede scusa, dice che non accadranno in futuro episodi simili, lei crede a lui, lei riprende lui.

La coppia che ha dato origine alla vicenda processuale che qui tratteremo non ha fatto eccezione, perlomeno in un primo momento.

Costrizione violenta al rapporto sessuale con il partner

Dopo un iniziale riavvicinamento, infatti, di nuovo l’uomo tornava a pretendere la consumazione secondo i propri desideri di rapporti sessuali, incurante della volontà della compagna di non superare alcuni limiti nelle pratiche sessuali volute dall’uomo.

In particolare in un’occasione, poi oggetto di ulteriore denuncia, la donna, dopo aver subìto passivamente la volontà del partner, era costretta a recarsi al pronto soccorso, ove le venivano diagnosticate una cervicalgia post traumatica, lieve contusione cranica, trauma terzo dito mano sinistra, ecchimosi alla regione toracica, al braccio sinistro e radice naso, zigomo destro e regione labiale sinistra, nonché ecchimosi alla regione addominale bassa.

Lui l’aveva minacciata, picchiata, stringendola al collo per soffocarla, bloccandole la pancia per non farla respirare e colpendola ripetutamente alla tempia.

Querela e Arresto del partner per violenza

Ciò ha rappresentato l’accadimento scatenante che ha definitivamente convinto la donna ad allontanarsi da colui con il quale, per un breve momento, aveva pensato di poter instaurare un rapporto, denunciandolo e provocandone l’arresto.

In seguito all’arresto, l’imputato impugna il provvedimento cautelare di cui è destinatario presso il tribunale del riesame, che tuttavia ne conferma la legittimità. Il difensore allora decide di ricorrere per Cassazione che decide come di seguito illustrato.

Avvocato Penalista Revoca Arresto

In seguito all’arresto, l’indagato, accusato di violenza sessuale, veniva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere.

Non si tratta di una pena successiva ad una condanna, ma di una previsione cronologicamente limitata nel tempo che impedisca all’indagato, come in questo caso, di reiterare il reato di cui presumibilmente si è reso responsabile, nell’attesa che si celebri il processo.

Tale misura era stata confermata anche dal Tribunale del riesame che aveva nuovamente valutato tutti gli elementi che avevano giustificato l’esecuzione della misura, pur tuttavia, il difensore dell’uomo di Gela decideva di proporre ricorso in Cassazione.

Egli riteneva che non fossero stati adeguatamente analizzati alcuni elementi che avrebbero sbugiardato la persona offesa, come i tabulati telefonici, dai quali, secondo la difesa, emergevano con chiarezza le discrepanze con le dichiarazioni rese dalla presunta vittima, che aveva raccontato alle forze dell’ordine di non avere avuto contatti con l’uomo nei giorni precedenti la denuncia.

Richiesta la Revoca della custodia in carcere per mancanza di prove

In sostanza l’avvocato penalista, difensore di fiducia, ha sostenuto che quanto riportato dalla persona offesa non corrispondesse al vero, e, di conseguenza, chiedeva la revoca della misura in quanto mancanti elementi di riscontro oggettivo a sostegno delle accuse mosse. Colei che era stata dipinta come la povera vittima, era stata in realtà sempre consenziente nei rapporti consumati con l’indagato, ivi comprese quelle occasioni in cui l’uomo le aveva chiesto di sperimentare insieme a lui pratiche diverse da quelle abitualmente effettuate.

Ancorché le posizioni difensive fossero state nettamente sostenute, la Corte di Cassazione ha rigettato tale ricorso, ritenendo privo di fondamento il racconto eseguito dalla difesa.

Contesto emotivo della vittima

La Suprema Corte ha evidenziato come, anzitutto, si debba tener conto del contesto emotivo in cui le dichiarazioni sono rese, come sempre avviene nei casi di violenza sessuale in cui la vittima è spesso in stato di confusione ed evidente agitazione, ragion per cui non si è ritenuto di dar seguito alle piccole discrepanze emerse, considerate dalla Corte di nessuna rilevanza.

I giudici hanno comunque evidenziato come, dagli elementi emersi, potesse verosimilmente dedursi che la persona offesa avesse accettato, quantomeno fino a un certo punto, le pratiche violente messe in atto dal compagno, non essendovi però stato accordo sui limiti da non superare.

Mancanza di consenso successivamente all’inizio del rapporto sessuale

E infatti, il quadro delineato nel provvedimento impugnato era quello di una violenza perpetrata nell'ambito di un rapporto sessuale inizialmente consensuale.

In tal senso viene spiegato ad esempio il dato della mancata descrizione, da parte della persona offesa, della fase di asportazione dei vestiti.

Tuttavia, benché la Corte, come precedentemente il tribunale del Riesame, avesse riconosciuto un parziale consenso della vittima, sono stati comunque ravvisati dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di violenza sessuale, poiché il consenso della persona offesa era cessato prima della conclusione del rapporto.

A tal proposito si è ribadito, richiamando anche precedenti giurisprudenziali (Cass. pen., sez. III, Sentenza 11.12.2007, n. 4432), che deve essere qualificata come vera e propria violenza sessuale la condotta di chi prosegue un rapporto sessuale anche laddove il consenso dell’altra persona, pur originariamente prestato, viene poi meno a causa di un ripensamento o, anche, a causa di una non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto.

Per tali ragioni è stata confermata all’imputato la custodia in carcere, sulla scorta del seguente principio di diritto.


Il reato di violenza sessuale si consuma anche quando il rapporto inizia in modo consensuale e, successivamente, per le modalità dello stesso, o anche senza alcuna ragione, viene meno il consenso di una delle persone coinvolte, dovendo quest’ultimo perdurare durante tutto lo svolgimento del rapporto.

La pena prevista per il reato di violenza sessuale è della reclusione da cinque a dieci anni.

Corte di Cassazione, Sezione III penale, sentenza 6 febbraio 2014, n. 5768.


Profili critici dei reati a sfondo sessuale - Diritto penale

Il reato di violenza sessuale non può che necessitare, per la delicatezza dei sentimenti coinvolti e per l’invasività con cui incide sulla vita della vittima, di analisi specifiche e approfondite.

Come evidenziato dalla sentenza in commento, uno degli elementi tipici della fattispecie criminosa è rappresentato dal dissenso di uno dei partner del rapporto; tuttavia, non sempre è così agevole comprendere a che punto possa essere tracciata la linea tra quella che veniva in passato definita la naturale resistenza femminile ed il dissenso necessario per la configurazione del reato.

Così come non è mai agevole la ricostruzione del fatto.

Purtroppo si tratta di elementi che non necessitano di ulteriore specificazione giuridica, essendo già chiari così come sono, ma che di volta in volta dovranno essere accertati in termini fattuali, benché l’accertamento sia tutt’altro che scontato.

Un accadimento cui nella maggior parte dei casi assistono solo le persone coinvolte non può che essere ricostruito attraverso il filtro delle narrazioni di queste ultime, dichiarazioni che nel 99 % dei casi saranno in contrasto tra loro. In assenza di evidenze mediche, non sempre presenti (basti pensare all’ipotesi della vittima che, rassegnata al suo destino, non opponga resistenza), il giudice non potrà che affidarsi all’analisi della credibilità dell’uno o dell’altro.

Tale analisi passa attraverso il vaglio penetrante di ciò che viene affermato dalla persona offesa in sede dibattimentale, costituendo molto spesso una notevole fonte di angoscia e umiliazione per quest’ultima, tanto che il codice di procedura penale prevede delle accortezze, come la celebrazione del dibattimento a porte chiuse o il divieto di domande relative allo stile di vita della vittima, che hanno lo scopo di rendere il meno scioccante possibile l’udienza.

D’altro canto, è evidente come l’accusato abbia diritto di confrontarsi con la persona che lo accusa, anche tramite domande particolarmente insidiose, tenuto conto della pena prevista dalla norma e dall’inevitabile sconvolgimento della vita dell’uomo che ne deriverebbe.

Non sempre, al di là di comodi sentimentalismi, gli uomini sono colpevoli.

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