Avvocato Incidente Stradale Mortale
Quando circoliamo in strada, come pedoni o conducenti di un veicolo, siamo consapevoli che può accadere qualcosa. Tuttavia quando si perde la vita, tutto cambia improvvisamente.
Cala un sipario, dove solo un bravo Avvocato di Incidenti Mortali può intervenire per far luce sulla dinamica, controllare che Polizia, Procura e Tribunale svolgano correttamente il proprio lavoro, ed infine così trattare con le controparti per ottenere un giusto risarcimento del danno.
Se sei vittima di un incidente stradale mortale, puoi chiamare lo Studio di Avvocati per partire da subìto con il piede giusto.
Di seguito ti raccontiamo la storia di una donna che per una stupida disattenzione, ha segnato per sempre la vita di un uomo.
La lettura di questo esempio di processo è utile al fine di comprendere quanto ogni sinistro sia complesso ed abbia bisogno della giusta assistenza legale.
Omicidio per un'inversione di marcia
Una giovane mamma si appresta a portare suo figlio di 5 anni e suo nipote di 11 al mare. Non è un pirata della strada, non ha bevuto alcol, né ha assunto droghe.
Semplicemente, come tanti altri, visto il caldo torrido, ha pensato sia una buona idea portare i bimbi a rinfrescarsi al mare.
Mentre carica l’ombrellone sull’auto, insieme al cibo per il pranzo e agli asciugamani, non poteva certo immaginare che quel giorno avrebbe ucciso un uomo; la sua vita non sarebbe più stata la stessa.
Non tutti credono nel destino, nel fato, nella filosofia per cui tutto è già scritto, eppure in questo caso tutte le circostanze sono sembrate comporre un perfetto puzzle disegnato sin dal principio.
Nel corso del tragitto verso il mare, la donna si rende conto di aver dimenticato i braccioli di suo figlio a casa; avendo solo 5 anni, non si sarebbe divertito senza poter giocare nell’acqua in sicurezza.
Così, per evitare di rovinare la giornata, sceglie di tornare indietro. Mentre procede su un tratto stradale extraurbano, costeggiato da muretti a secco, sfruttando un varco tra questi sul lato opposto della carreggiata, decide di fare inversione di marcia, così da poter nuovamente tornare verso casa e, mentre si appresta a compiere tale manovra, sopraggiunge dal lato opposto un motociclista.
Il conducente della moto, trovatosi davanti sulla propria corsia il furgoncino della donna, in posizione trasversale, non può fare altro che urtarlo, perdere il controllo della moto e finire contro il muretto di cinta latistante.
Questi sono gli ultimi istanti di vita della vittima, e siamo in presenza di un omicidio colposo da negligenza alla guida della donna.
Colpa per la Manovra Azzardata e l'incidente mortale
Il percorso del procedimento penale che ne è seguito è stato tutt’altro che agevole. Dopo diverse sentenze e smentite, si è arrivati alla condanna definitiva.
In un primo momento infatti il Tribunale Penale aveva pronunciato sentenza di assoluzione, in ragione della circostanza che non vi fosse alcuna prova del fatto che il furgone si stesse muovendo al momento dell’impatto.
Tale asserzione tuttavia si era scagliata contro la censura della Corte d’appello, la quale viceversa aveva rilevato tutta una serie di incongruenze e di elementi di fatto che non potevano naturalisticamente conciliarsi con la dinamica degli eventi.
E infatti, la Corte aveva osservato come non fosse possibile aderire alla tesi difensiva dell’immobilità del furgone al momento del sinistro, in quanto la leva del cambio era stata trovata inserita nella posizione di retromarcia e le ruote anteriori risultavano sterzate verso sinistra, per cui nulla poteva esser fatto se non tornare indietro verso la carreggiata.
Neppure poteva sostenersi, come fatto dall'avvocato penalista della difesa, che il furgone della donna si fosse ritrovato in quella posizione poiché spinto dall’impatto con la moto, visto il ritrovamento di vernice sull’angolo posteriore destro dell’autoveicolo, a testimonianza del fatto che l’urto era avvenuto solo di striscio e non avrebbe mai potuto cagionare lo spostamento del furgone.
Secondo la Corte d’appello, l’accadimento andava così ricostruito: la donna decideva di effettuare l’inversione di marcia e, come da lei stessa affermato durante il suo esame, riteneva di poterla effettuare in una piazzola a bordo strada, se non che, accortasi che le pietre le ostruivano il passaggio, era costretta ad eseguire la retromarcia invadendo la carreggiata e, segnatamente, la corsia occupata da chi procedeva in direzione centro abitato.
Tutto ciò, ad avviso dei giudici di secondo grado, veniva aggravato dall’esitazione mostrata dall’imputata nel corso della manovra, in quanto, verosimilmente, vi fu una discussione nel veicolo con i bambini per decidere se tornare a prendere i braccioli o meno.
Tale condotta evidenziava quindi tutti i profili di colpa della persona sotto accusa; anzitutto, ella non avrebbe dovuto effettuare l’inversione di marcia, vista peraltro la presenza, poche decine di metri dopo, di una rotatoria che avrebbe consentito di poter tornare indietro senza manovre azzardate, in secondo luogo l’imputata aveva svolto l’inversione conversando con i minori, rendendo l’operazione più lenta e ingombrando la carreggiata per un tempo maggiore.
Il superiore comportamento veniva quindi tenuto in spregio della prescrizione di cui all’art. 140 cod. strada che impone agli utenti della strada di comportarsi in modo da non costituire pericolo od intralcio alla circolazione e da salvaguardare in ogni caso la sicurezza stradale.
La dichiarazione dei testimoni del sinistro
Lo svolgimento della vicenda, così come descritta, veniva confermato inoltre da due testimoni, i quali dichiaravano di aver visto da una distanza di circa 200-300 metri il furgone posto trasversalmente nella carreggiata.
In sostanza, negli attimi in cui avveniva la discussione nel veicolo, questo rimaneva fermo occupando solo una parte della corsia e lasciandone libera una piccola parte, tanto che il motociclista che sopraggiungeva, peraltro a velocità superiore rispetto al limite consentito, aveva confidato, seppur imprudentemente, di sfruttare tale spazio per superare l’ostacolo; ciò spiegherebbe l’assenza di tracce di frenata.
Risarcimento dei danni alla vittima - Avvocato Incidente Grave
Con ogni probabilità, al passaggio del motoveicolo, la donna, che nel frattempo stava guardando nell’altra direzione, aveva mosso il proprio veicolo invadendo ancor di più la corsia e, a quel punto, nulla avrebbe potuto fare il ragazzo alla guida della moto se non urtare il furgone e perdere il controllo.
La responsabilità del sinistro, tuttavia, non è stata attribuita nella totalità alla donna, in quanto senz’altro la condotta imprudente del motociclista, che viaggiava a velocità sostenuta e non ha neanche accennato alla frenata, ha concorso alla causazione dell’evento, ragion per cui la Corte d’appello aveva ritenuto di dividere la colpa nella misura del 60% per l’imputata e il 40% per la vittima, con le ovvie conseguenze sul piano del risarcimento dei danni dovuto richiesto con l'assistenza di Avvocati per Incidenti Gravi.
Questa la ricostruzione fatta nella sentenza di secondo grado, con cui si condannava la donna a mesi sei di reclusione, concesse le attenuanti generiche riconosciute come prevalenti rispetto alle aggravanti contestate.
Responsabilità incidente stradale Danni
Avverso la sentenza di condanna della Corte d’appello, proponeva impugnazione l'Avvocato di Fiducia, sostenendo una serie di vizi formali del provvedimento, nonché la colpa esclusiva del motociclista che, con la sua condotta imprudente e colpevole avrebbe secondo la difesa cagionato la propria morte.
Tali affermazioni non hanno trovato però alcun riscontro nelle posizioni della Suprema Corte, la quale ha osservato come la velocità di marcia del ragazzo, perquanto eccessiva, non può considerarsi elemento imprevedibile ed eccezionale idoneo da solo determinare l'evento, bensì come causa concorrente che, ai sensi dell'art. 41c.p., comma 1, non esclude il rapporto di causalità.
Benché non possa negarsi un contributo causale cagionato dall’imprudenza del motociclista, ciò non significa che possano escludersi le responsabilità della donna.
Anche nell’ipotesi in cui il conducente ponga in essere una condotta intrinsecamente rischiosa, come l’eccesso di velocità o il mancato rispetto della distanza di sicurezza, questa non può ritenersi da sola sufficiente a determinare l’evento, salvo il caso in cui non abbia i caratteri dell’eccezionalità ed imprevedibilità e, quindi, divenga fattore causale esclusivo della produzione dell’incidente.
In definitiva, la Corte ha confermato la sentenza di condanna, ribadendo le differenze tra l’esenzione da colpa e il concorso di colpa.
Certamente l’imputata non è stata riconosciuta esclusiva colpevole del sinistro, ma neppure se ne è potuta escludere totalmente la responsabilità.
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