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Sequestro Giudiziario del Conto del Coniuge Infedele

Sequestro Giudiziario del Conto del Coniuge InfedeleNon ogni matrimonio va come vorremmo, e questo è il caso di una coppia di Anzio, all'interno della quale il marito ha sperperato tutti i risparmi della vita coniugale dopo aver tradito la moglie. 

Con ricorso presentato al Tribunale di Anzio lo Studio Legale richiedeva un sequestro giudiziario di somme depositate sul conto corrente cointestato con il marito.

Il sequestro era finalizzato alla separazione e giustificato dal timore che i soldi ivi presenti venissero a mancare, nella perdurante necessità di soddisfare il pagamento del mutuo per la casa e la macchina.

La sottoscritta difesa ha dunque deciso di agire in via cautelare, ottenendo un provvedimento autorizzativo del vincolo sui beni fungibili di cui sopra.

I coniugi, al tempo del matrimonio, avevano optato per il regime della comunione legale nei loro rapporti patrimoniali.

Ciò aveva come conseguenza che in sede di separazione il denaro presente sul conto corrente sarebbe stato diviso per metà, a meno che, si fosse trattato dei beni non facenti parte della comunione, come previsto dall’art. 179 c.c. Quest’ultimo infatti elenca tassativamente i beni che, benché inseriti in un conto cointestato, esulano dalla comunione perché a titolo esemplificativo sono personali, servono all’esercizio della professione ovvero sono frutto di una causa di risarcimento danni.

Nel caso in esame le somme presenti sui conti cointestati, in seguito trasferite su altri conti personali del marito, erano destinate a specifici bisogni della famiglia.

Esse servivano al pagamento dei debiti relativi al mutuo della casa in cui i coniugi avevano stabilito la residenza familiare, delle rate della macchina, unico e indispensabile mezzo che consentiva gli spostamenti dei familiari, la cui abitazione era lontana dal centro e in generale erano utilizzate per il sostentamento della famiglia.

Sequestro Conto Corrente dei coniugi

I rapporti tra marito e moglie non erano da tempo buoni.

La signora aveva infatti richiesto al presidente del tribunale separazione personale con addebito al marito, per violazione degli obblighi di assistenza morale e materiale dipendenti dal matrimonio ex art. 143 c.c.

In particolare l’assistenza economica è venuta meno in seguito ad un comportamento in mala fede del marito.

Egli in più occasioni ha decurtato ingenti somme dal conto corrente bancario cointestato, in maniera non giustificata e all’insaputa della moglie che si è vista venire meno i mezzi economici per sostenere il pagamento delle rate del mutuo.

Il marito aveva eseguito atti di trasferimenti di denaro, dimostrati da precisi allegati di estratti conto.

L'uomo, infatti, aveva aperto diversi conti correnti personali, cui la moglie non accedeva e con cui faceva fronte a bisogni personali. Tra questi vi era il pagare delle donne dell’est per intrattenere rapporti sessuali, atteggiamento dallo stesso confessato alla signora.

La malafede del marito è stata dimostrata dalla dichiarazione testimoniale del direttore di banca, soggetto imparziale nella causa, ma che poteva provare come, diminuendo il conto comune, non si potesse fare più fronte ai debiti contratti. La donna ha pertanto deciso di agire, in vista della separazione, per evitare che prima del provvedimento sulla stessa venisse ancora meno la garanzia patrimoniale necessaria quantomeno per il vivere quotidiano.

Come fare per Bloccare il conto: ricorso al tribunale

Nel caso in cui non si riesca più ad arginare la condotta dissestata del cointestatario del conto bancario, occorre agire immediatamente per le vie legali.

Abbiamo dunque proposto ricorso al tribunale di Roma, sezione distaccata di Anzio, ottenendo il sequestro dei beni comuni, ossia le somme di denaro depositate su un conto corrente cointestato. Il giudice ha accolto la domanda, nominandola custode dei beni e compensato le spese processuali.

Le contrapposte tesi di diritto tra moglie e marito

La donna ha agito nell’interesse della famiglia. Nel momento in cui si è resa conto di movimenti di denaro particolari, ha temuto che potessero venire a mancare i mezzi necessari per vivere e soprattutto onerare il debito contratto con la banca, a fronte del mutuo per la casa. A ciò si aggiunga la presenza dei presupposti imprescindibili per chiedere ed ottenere il provvedimento cautelare di sequestro: il fumus boni iuris e il periculum della mora. In particolare sussiste il fumus dato dal titolo possessorio sulle somme di denaro. Tale titolo fa sì che non vada considerata lite temeraria la causa, dal momento che sussiste la strumentalità nei confronti della causa principale.

La signora era al cinquanta per cento titolare delle somme, essendo il regime patrimoniale della comunione legale e, soprattutto, il conto cointestato. È stato inoltre dimostrato il pericolo di sperpero del denaro, grazie agli estratti conto della banca, alla dichiarazione del marito e alla chiamata testimoniale del direttore della banca.

La sentenza del giudice sul sequestro giudiziario

Il giudice ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per emanare il provvedimento richiesto. Ha ritenuto l’esistenza della strumentalità della causa di sequestro con il provvedimento definitivo, strumentalità che garantisce sul piano pratico la concreta efficacia del futuro provvedimento giurisdizionale relativo a situazione di proprietà e di possesso dei beni.

Nella fattispecie in cui parte resistente ha posto in essere continui atti di prelievo di somme di denaro dai conti correnti cointestati, somme che dovevano servire al pagamento delle rate di mutuo relative alla loro case alla loro macchina, è configurabile una controversia sul possesso delle somme di denaro in questione, che legittima il sequestro giudiziario ed è ravvisabile il pericolo in mora cioè la necessità di provvedere alla conservazione e alla custodia delle dette somme di denaro essendoci il pericolo che si determinino situazioni tali da pregiudicare l’attuazione del diritto controverso. Secondo il giudice il ricorso deve trovare accoglimento.

La richiesta di sequestro e le strade per una tutela più efficace

Come si è già anticipato il denaro di conto corrente cointestato si presume di proprietà dei titolari del medesimo in parte eguale, salva prova contraria. Pertanto, una volta passata in giudicato la sentenza di separazione, le somme presenti sul conto comune dovranno essere divise tra i coniugi nella misura del cinquanta per cento ciascuno, a meno che uno dei due riesca a dimostrare che il denaro depositato, o parte dello stesso, sia di proprietà esclusiva (sentenza Cass. Civ. n. 19115/2012). Prima di quel momento marito e moglie possono spendere i propri guadagni e proventi come meglio desiderano, dopo però aver fatto fronte bisogni della famiglia.

Appartengono ad uno solo dei coniugi, le somme ottenute dalla vendita di un bene personale, anche se depositate sul conto; sono beni personali quelli di cui il coniuge era titolare prima del matrimonio ovvero ricevuti per successione ereditaria e per donazione dopo le nozze, e ancora, quelli ottenuti da un eventuale risarcimento del danno.

Quando però i beni sono in comune, si può trovare tutela in attesa della sentenza di separazione, tramite, appunto, una richiesta di sequestro.

Il richiedente dovrà produrre la documentazione specifica a riprova della titolarità delle somme presenti sul conto medesimo. La richiesta dovrà inoltre essere motivata e giustificata dalla volontà di impedire al coniuge di dilapidare il conto, specificando gli elementi che rendano verosimile il rischio della sottrazione, per evitare che il giudice non ritenga esistente tale pericolo e rigetti il ricorso.

Grazie alla legge 55/212 sul divorzio breve, la comunione legale si scioglie alla data del decreto presidenziale emesso nel procedimento di separazione giudiziale o, se la separazione è consensuale, alla data dell'udienza tenuta davanti al presidente del tribunale. Fino a quel momento, quindi, è possibile occultare il denaro o i titoli senza lasciarne traccia. Date tali difficoltà connesse alla contitolarità del conto corrente sembrerebbe più conveniente detenere conti separati, eventualmente firmando una delega all’altro coniuge.

Le diverse tipologie di utilizzo dei conti cointestati

Accade spesso nella pratica che all’inizio del matrimonio uno dei coniugi apra un conto corrente cointestandolo all’altro coniuge. Sul conto corrente viene accreditato lo stipendio mensile e altri introiti personali a lui riferibili, guadagni, risarcimenti, donazioni o eredità. L’altro coniuge invece non versa nulla sul conto corrente e rimane mero cointestatario formale. Una situazione come questa può determinare difficoltà in caso di separazione giudiziale, dal momento che il coniuge cointestatario, nonostante non abbia mai versato nulla di suo sul conto corrente, partecipa alla divisione per metà, come previsto dalle norme in materia scioglimento della comunione.

La corte di Cassazione, ha di recente analizzato tale caso e stabilito che la cointestazione di un conto corrente, attribuendo agli intestatari la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto (art. 1854 cod. civ.) sia nei confronti dei terzi sia nei rapporti interni, fa presumere la contitolarità dell'oggetto del contratto, salvo la prova contraria a carico della parte che deduce una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa. Nella specie la titolarità effettiva in capo al solo marito del conto corrente cointestato alle parti, appare essere stata irreprensibilmente e condivisibilmente desunta da una serie di dati oggettivi inerenti alla provenienza del denaro depositato sul conto e dagli atti di relativa disposizione.

In altri casi è stato ritenuto configurabile il reato di appropriazione indebita  ex art. 646 c.p. a carico del cointestatario di un conto corrente bancario, il quale, pur se autorizzato a compiere operazioni in astratto, disponga in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza, in base al criterio stabilito dal codice civile, secondo cui le parti di ciascun cointestatario si presumono, fino a prova contraria, uguali.

 

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