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Smartphone difettoso: quando puoi chiedere la risoluzione del contratto

La decisione del Giudice di Pace di Velletri affronta una controversia relativa alla risoluzione di un contratto di compravendita per smartphone difettoso, accogliendo la domanda restitutoria ma negando il risarcimento del danno non patrimoniale.

Tanto occorre per comprendere che anche una questione di principio ha ragione di essere coltivata in giudizio.

Il Giudice di Pace, dr.ssa Nadia Scugugia, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa iscritta al n. *** R.G.

PROMOSSA DA
M. H. (C.F.: OMISSIS) elettivamente domiciliato in Ariccia, presso lo studio dell’avv. Alessandro Buccilli che lo rappresenta e difende giusta delega in atti
RICORRENTE

NEI CONFRONTI DI
C S.R.L. (P.IVA: OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro-tempore, domiciliata in ... presso lo studio dell’avv. Omissis, che la rappresenta e difende giusta delega in atti
RESISTENTE

Conclusioni: come in atti
Oggetto: risoluzione contratto compravendita

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Preliminarmente, va rilevato che si omette di sviluppare lo svolgimento integrale del processo, atteso che, a norma dell’art. 132 c.p.c. come novellato a seguito della L. 18/6/09, n. 69, la sentenza deve contenere unicamente la “concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.

Ai fini della concreta determinazione della portata dell’espressione contenuta in detta norma, appare del tutto corretto tenere conto dell’art. 16, comma 5, D.L.vo 5/03, che, seppur abrogato dalla L. 69/09, costituisce un significativo elemento interpretativo della volontà del legislatore, prevedendo la possibilità di motivare mediante rinvio agli atti o mediante richiamo a precedenti conformi.

Tanto premesso, quanto agli elementi di fatto nella prospettazione delle parti e alle rispettive domande, eccezioni e difese, si rinvia all’atto di citazione, alla comparsa di risposta e alle memorie depositate nel corso del giudizio.

MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda è fondata e viene accolta nei limiti di seguito indicati.

Il Codice del Consumo prevede varie norme a tutela dei consumatori che scoprono difetti, malfunzionamenti o problemi di utilizzo dei beni acquistati durante la garanzia legale di due anni e, in particolare, dà diritto alla riparazione o sostituzione del bene, alla riduzione del prezzo o alla risoluzione del contratto qualora i rimedi primari non siano praticabili.

Nel caso di specie parte ricorrente ha documentato l’avvenuto acquisto di uno smartphone per la somma di € 450,00. Considerato il malfunzionamento della fotocamera, il ricorrente esercitava il diritto di garanzia presso il punto vendita. Lo smartphone veniva preso in carico per la riparazione che però non veniva effettuata. Solo dopo l’intervento del legale il ricorrente veniva ricontattato per il ritiro del bene, accettato con riserva di controllo.

Persistendo il malfunzionamento, il ricorrente diffidava il venditore alla restituzione del prezzo previo ritiro del bene. La richiesta non veniva evasa positivamente, ma in udienza la resistente accettava la proposta del giudice di versamento della somma di € 450,00 oltre € 200,00 a titolo di spese, proposta non accettata dalla parte ricorrente.

Il ricorrente chiedeva dunque la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno non patrimoniale.

La Corte di Cassazione (sentenza 5 ottobre 2025 n. 26747) ha affermato la necessità che il giudice dia conto delle ragioni della scelta liquidativa del danno non patrimoniale, essendo la relativa quantificazione necessariamente rimessa a valutazione equitativa, subordinata tuttavia alla prova dell’esistenza di un danno certo e non meramente ipotetico.

Nel caso di specie il ricorrente non ha dimostrato la sussistenza di un danno risarcibile certo, ad esempio documentando o provando che il cellulare fosse l’unico in suo possesso. Il mancato utilizzo dello smartphone a causa del malfunzionamento della fotocamera non può essere considerato un danno liquidabile in via equitativa.

L’eccezione relativa al difetto di procura è superata in ragione della conferma della procura effettuata in udienza.

Assorbite e disattese le ulteriori istanze.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

PQM
Il Giudice di Pace:

– accoglie parzialmente la domanda
– dichiara la risoluzione contrattuale e condanna la resistente alla restituzione di € 450,00 previo ritiro dello smartphone
– rigetta la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale
– condanna la resistente alla rifusione delle spese di lite liquidate in € 200,00 oltre accessori di legge

Così deciso il 07.11.2025
Il Giudice di Pace


Di seguito sono riportate le critiche analitiche all'ingiusta sentenza.

1) La motivazione sul danno non patrimoniale appare giuridicamente errata nella parte in cui richiede la prova che il telefono fosse “l’unico in possesso del ricorrente”

La sentenza afferma che il danno non patrimoniale sarebbe risarcibile solo qualora il ricorrente provasse che lo smartphone oggetto di causa fosse il suo unico dispositivo.
Questa impostazione è contestabile sotto molteplici profili.

La disciplina consumeristica non richiede l’unicità del bene, ma la sua conformità all’uso cui è destinato. Il consumatore non ha l’onere di dimostrare di non possedere un bene sostitutivo, poiché il pregiudizio deriva dall’inadempimento contrattuale del venditore e dal mancato godimento del bene acquistato. È quindi errato subordinare la risarcibilità del danno non patrimoniale alla prova di un fatto che non rileva come condizione dell’azione e che non ha alcuna base normativa.

Il giudice introduce un requisito di prova non previsto né dall’art. 1223 c.c. né dalla giurisprudenza citata, trasformando un semplice elemento di valutazione nel presupposto esclusivo della risarcibilità. La Cassazione richiede la prova del danno, non la prova della mancanza di alternative.

Inoltre il danno non patrimoniale può derivare dalla frustrazione dell’affidamento, dalle reiterate inutilizzabilità del bene, dalla necessità di contattare il venditore, dalle attese ingiustificate e dalle difficoltà derivate dall’inadempimento. Tutti profili ignorati dalla sentenza.

2) Il giudice non valuta la condotta del venditore sotto il profilo della buona fede contrattuale

La sentenza non prende in considerazione l’atteggiamento processuale e pre-processuale della società resistente.
La mancata riparazione, la restituzione del bene ancora difettoso e il mancato accoglimento della richiesta restitutoria prima della causa sono circostanze che possono rilevare ai fini:

– dell’aggravamento del pregiudizio
– della determinazione del danno ulteriore
– della valutazione delle spese processuali

La condotta del venditore appare, almeno astrattamente, contraria ai principi di correttezza e buona fede, ma il giudice non dedica alcuna analisi a tale profilo, privando la decisione di una parte essenziale della motivazione.

3) Non viene affrontato il tema del “congruo termine” previsto dalla garanzia legale

La disciplina del consumo impone che la riparazione avvenga entro un congruo termine, da valutarsi in relazione alla natura del bene e dell’uso cui è destinato.
La sentenza non chiarisce se tale termine sia stato superato, non indica la durata dell’attesa, né valuta se il protrarsi della situazione configuri un inadempimento tipico del venditore.

Una valutazione completa avrebbe richiesto l’accertamento della tempistica effettiva e della sua conformità al parametro legale, mentre la sentenza si limita a constatare l’assenza della riparazione senza approfondire.

4) La Cassazione citata è richiamata ma applicata in modo improprio

Il giudice cita un principio consolidato secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale richiede equità e prova dell’esistenza del pregiudizio. Tuttavia, la Corte di Cassazione non ha mai affermato che il danno debba essere subordinato alla prova dell’assenza di alternative o dell’unicità del bene.
La sentenza utilizza la Cassazione come fondamento di un principio che non vi è contenuto, in versione creativa.

La giurisprudenza richiede la prova di un danno concretamente verificatosi, non la prova dell’esclusività del bene. L’interpretazione fornita in sentenza non appare coerente con i precedenti citati e introduce un elemento estraneo al sistema.

5) Le spese processuali sono liquidate in maniera incongrua e senza motivazione

La sentenza liquida € 200,00 complessivi per compensi professionali senza alcun richiamo ai parametri forensi, né ai criteri di riduzione o compensazione.
Non considera:

– la fase di studio
– la fase introduttiva
– l’udienza
– la trattativa in udienza
– l’attività stragiudiziale precedente

La liquidazione appare incompatibile con i parametri DM 55/2014 per lo scaglione di riferimento.

La mancanza di motivazione su una riduzione così significativa costituisce un evidente vulnus della decisione.

 

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