Il Risarcimento da intossicazione da farmaci
I farmaci, pur essendo concepiti per migliorare la salute, possono talvolta causare effetti contrari, arrivando a ledere gravemente l'integrità fisica dei soggetti trattati.
Questo paradosso, insito nella natura stessa dei medicinali, rende la materia particolarmente delicata, imponendo una riflessione critica su come il diritto possa offrire una tutela efficace e bilanciata.
Tra i casi pratici citati, vi è quello relativo al ritiro dal commercio di alcuni farmaci antidiabetici e antiosteoporosi che, pur essendo stati approvati dalle autorità sanitarie e diffusi su larga scala, si sono poi rivelati responsabili di gravi danni collaterali, come disfunzioni cardiache o dermatiti letali.
Questi esempi mostrano come anche farmaci largamente utilizzati, considerati sicuri per anni, possano comportare rischi imprevedibili.
In molti casi, la mancata tempestiva segnalazione degli effetti collaterali da parte delle case farmaceutiche ha aggravato la situazione, provocando un notevole contenzioso giudiziario e sollevando interrogativi circa l'efficacia dei controlli ex ante.
Il legislatore e la giurisprudenza si sono trovati a dover rispondere a queste problematiche attraverso due principali strumenti: da un lato, una progressiva evoluzione del concetto di responsabilità civile, che si è fatta più attenta ai diritti del danneggiato e ha allentato il rigore della prova; dall'altro, l'introduzione di meccanismi alternativi come l'indennizzo, che intervengono laddove la responsabilità civile si dimostri inadeguata o troppo onerosa da dimostrare per il paziente.
Questo duplice binario tende a garantire una tutela più estesa, anche nei casi in cui il nesso causale tra farmaco e danno non sia immediatamente evidente (ad esempio lungolatente o con intossicazione che conduce a morte lenta).
Responsabilità del produttore farmaceutico
In Italia, la giurisprudenza ha spesso preferito applicare l'articolo 2050 del codice civile, che disciplina la responsabilità per esercizio di attività pericolose, piuttosto che fare riferimento alla normativa europea sui prodotti difettosi.
Ciò è evidente nel caso del Trilergan, un farmaco prodotto negli anni Settanta che risultò infetto dal virus dell'epatite B.
La Corte ritenne che, data la pericolosità intrinseca dell'attività, il produttore dovesse rispondere dei danni se non avesse dimostrato di aver adottato tutte le misure possibili per evitarli.
Questa interpretazione ha determinato un orientamento favorevole al consumatore, molto più severo rispetto a quello offerto dalla normativa comunitaria, che consente l'esonero da responsabilità qualora il difetto non fosse conoscibile con lo stato dell'arte al momento della commercializzazione.
L'approccio italiano, quindi, privilegia la protezione della parte debole e attribuisce al produttore un onere probatorio maggiore.
Farmaci off-label – utilizzo errato
Questo è comune in ambiti come l'oncologia, la pediatria o la cura di malattie rare, dove spesso mancano trattamenti specificamente testati.
Ad esempio, alcuni antidepressivi sono stati prescritti a bambini obesi per sfruttarne l'effetto collaterale di perdita di peso.
In uno di questi casi, una dodicenne ha riportato gravi danni psichici e fisici, e la psichiatra è stata condannata per lesioni dolose.
La sentenza ha ritenuto che il medico avesse agito con dolo eventuale, poiché consapevole del rischio e dell'inadeguata informazione fornita alla madre della paziente.
L'uso off-label, pur rappresentando talvolta l'unica opzione terapeutica disponibile, deve avvenire con estremo rigore e in presenza di una documentazione scientifica solida.
L'uso off-label è ammesso solo in casi eccezionali e richiede, tra le altre cose, che il medico ottenga il consenso informato del paziente e che il trattamento sia supportato da pubblicazioni scientifiche accreditate a livello internazionale.
In caso contrario, si può configurare una responsabilità sia civile che penale.
Il legislatore, con interventi successivi, ha tentato di restringere ulteriormente questa prassi, imponendo la presenza di dati favorevoli derivanti da studi clinici avanzati per poter giustificare tali prescrizioni.
Tuttavia, l'applicazione pratica di queste regole rimane complessa, come mostrano i numerosi contenziosi giudiziari, spesso caratterizzati da una forte incertezza probatoria e da perizie contrastanti.
È emerso anche il rischio di un utilizzo strumentale dell'uso off-label, che talvolta ha rappresentato un modo per eludere le lungaggini dell'autorizzazione al commercio.
Indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992
L’indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 rappresenta uno strumento solidaristico per le vittime di danni da vaccinazioni obbligatorie e trasfusioni infette.
Ad esempio, un paziente che contrae l'epatite a seguito di una trasfusione può ottenere un'indennità statale anche senza provare una colpa specifica da parte del medico o della struttura sanitaria. Questo sistema risponde a un principio di socializzazione del rischio, che riconosce la legittimità del trattamento medico, ma anche la necessità di sostenere chi ne subisce le conseguenze peggiori.
La legge è stata più volte oggetto di interventi della Corte costituzionale, che ne ha esteso l'ambito applicativo per includere anche situazioni inizialmente escluse, rafforzando il ruolo dello Stato nella tutela dei diritti fondamentali.
Importante è anche la questione del rapporto tra indennizzo e risarcimento. La giurisprudenza tende ad ammettere la cumulabilità dei due strumenti: chi ha diritto all'indennizzo può comunque agire per ottenere anche il risarcimento del danno, senza che il primo venga detratto automaticamente dal secondo. In tal modo si salvaguarda il diritto a una tutela integrale, che tenga conto sia della componente assistenziale, sia di quella riparatoria. Si discute tuttavia se, in sede di quantificazione del danno, l'indennizzo ricevuto possa influire sul calcolo del danno patrimoniale e non patrimoniale, dando luogo a un dibattito dottrinale ancora aperto.
Infine, l'autrice pone in evidenza la necessità di un costante aggiornamento della normativa e l'opportunità di confrontarsi con modelli esteri, come quello francese, che ha introdotto un fondo nazionale per l'indennizzo dei danni da atti medici non colposi.
Questo approccio potrebbe ispirare anche una riforma italiana, che meglio contemperi il diritto alla salute con le esigenze della ricerca scientifica e della sostenibilità del sistema sanitario.
In tale contesto, risulta fondamentale anche una riflessione sull'efficacia del sistema assicurativo sanitario, sulle sue lacune e sulle possibili sinergie tra pubblico e privato nella gestione del rischio sanitario.
In conclusione, sottolinea la crescente attenzione che il diritto riserva alla tutela del paziente, in un contesto dove la complessità tecnica e scientifica rende sempre più difficile individuare confini netti di responsabilità.
L'equilibrio tra innovazione terapeutica, libertà prescrittiva e sicurezza del paziente richiede un sistema normativo flessibile ma efficace, capace di proteggere chi subisce un danno senza ostacolare il progresso medico e farmaceutico.
La protezione del paziente non si esaurisce nella dimensione risarcitoria, ma implica anche la garanzia di un'informazione trasparente, il controllo rigoroso sulla commercializzazione e somministrazione dei farmaci e l'adozione di meccanismi proattivi di prevenzione del danno, per costruire un sistema sanitario sempre più giusto ed equo.