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Responsabilità del Direttore dei Lavori

Nel quadro delle attività edilizie, la figura del direttore dei lavori riveste un ruolo di particolare delicatezza, poiché chiamata a contemperare la natura professionale dell’incarico con l’esigenza di garantire la regolarità dell’esecuzione e la conformità dell’opera al progetto.

Si tratta, com’è noto, di un’obbligazione qualificabile come obbligazione di mezzi, nella quale il professionista è tenuto ad adottare ogni cautela ragionevole e ogni intervento diligente volto ad assicurare che l’esecuzione dell’opera non degeneri in una realizzazione difettosa o comunque non aderente al capitolato.

La più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione offre nuovi spunti interpretativi nell’ambito della responsabilità del direttore dei lavori, in particolare con riferimento all’estensione del dovere di vigilanza e alle conseguenze che possono derivare da una protratta assenza dal cantiere.

La decisione oggetto di analisi, resa nel 2025, affronta in modo netto e inequivocabile il tema, delineando i confini dell’alta sorveglianza quale componente essenziale della prestazione professionale

Il contesto processuale: un cantiere problematico e una controversia pluriennale

La vicenda trae origine da un contratto d’appalto avente ad oggetto la costruzione di una villetta unifamiliare. Il committente, insoddisfatto della qualità realizzativa, aveva contestato all’impresa appaltatrice una serie di gravi difetti costruttivi e, contestualmente, aveva chiamato in causa la direttrice dei lavori, ritenendola responsabile, in solido, dei vizi emersi.

La controversia, articolatasi in più gradi di giudizio, ha portato dapprima il Tribunale a riconoscere una responsabilità parziale in capo alla professionista, limitata alla mancata predisposizione della documentazione necessaria all’abitabilità dell’immobile. La Corte d’appello ha invece ampliato significativamente il perimetro di tali responsabilità, ravvisando una condotta inadempiente non circoscritta a un mero difetto documentale, bensì estesa all’intera gestione del cantiere e alla vigilanza sull’operato dell’appaltatrice.

Nel giudizio di legittimità, la direttrice dei lavori ha articolato più motivi di impugnazione, sostenendo che l’assenza dal cantiere non potesse di per sé integrare una responsabilità automatica e che la corte territoriale non avesse adeguatamente considerato le prove circa la sua effettiva presenza e il suo impegno professionale.

La Corte di Cassazione ha invece respinto integralmente tali censure, confermando la sentenza impugnata e chiarendo con fermezza i principi che governano la materia.

L’assenza dal cantiere come indice di colpa professionale: il perno della decisione

Uno degli snodi centrali della pronuncia concerne il lungo arco temporale in cui la direttrice dei lavori non risulta aver svolto attività documentate di vigilanza. La Corte rileva, con un’espressione volutamente incisiva, una vera e propria “latitanza” professionale protrattasi, a seconda delle ricostruzioni, per almeno nove mesi, periodo durante il quale il cantiere ha conosciuto una progressiva e significativa stratificazione di vizi e difformità.

La Suprema Corte sottolinea che, anche nella lettura più favorevole alla professionista, non emerge alcun elemento che possa ragionevolmente far ritenere adempiute le obbligazioni di alta sorveglianza. L’assenza dal cantiere non è un dato neutro né marginale: essa integra, in sé e per sé, un vuoto probatorio eloquente, segno di una vigilanza mancata e di un disinteresse sostanziale per l’andamento dei lavori.

Ciò che la Cassazione ribadisce con particolare vigore è che la direzione lavori non può essere intesa come un’attività episodica o saltuaria, ma richiede un presidio costante, proprio in ragione del ruolo di raccordo tra progettazione ed esecuzione, nonché della capacità del direttore dei lavori di prevenire l’insorgenza di vizi che, una volta manifestatisi, spesso non possono più essere corretti senza interventi demolitori o integrativi onerosi.

L’obbligazione del direttore dei lavori: diligentia quam in concreto

Il principio richiamato nella sentenza – e costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità – è quello della diligentia quam in concreto. Non basta osservare un comportamento genericamente diligente; occorre adottare la specifica diligenza richiesta dal tipo di prestazione svolta, dal contesto operativo e dalle aspettative che il committente ripone nell’opera professionale.

Il direttore dei lavori è chiamato non solo a verificare la conformità dell’esecuzione al progetto e alle regole dell’arte, ma anche a intervenire con tempestività, impartendo ordini correttivi, prescrizioni operative e, ove necessario, avvertimenti formali al committente e all’appaltatore. Quando, invece, l’opera si degrada in modo macroscopico e diffuso e nel contempo manca qualsiasi traccia di una vigilanza effettiva, la responsabilità del direttore dei lavori non necessita di ulteriori dimostrazioni tecniche: l’omissione è già essa stessa negligente.

È per tale ragione che le doglianze della professionista, fondate sull’asserita mancanza di prova circa la sua incidenza causale sui singoli vizi, non sono state ritenute rilevanti. La Corte afferma che non si tratta di imputare al direttore dei lavori gli errori dell’appaltatore, bensì di valutare se la condotta omissiva del professionista abbia consentito il proliferare dei difetti. E la risposta, nel caso di specie, è stata inequivocabile.

La valutazione delle prove: i limiti del sindacato di legittimità

La Corte affronta anche il tema della valutazione delle prove documentali e testimoniali, dichiarando inammissibili le censure relative alla pretesa violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. La ricorrente sosteneva che la Corte territoriale non avesse correttamente valutato alcune testimonianze e documenti che attestavano la sua presenza in cantiere.

La Suprema Corte ribadisce che il giudizio sulla attendibilità e rilevanza delle prove rientra esclusivamente nel potere del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per macroscopici vizi motivazionali, non certo per contrapporre una diversa lettura del materiale istruttorio. Così, l’impianto ricostruttivo della Corte d’appello è stato ritenuto inattaccabile, confermando che la valutazione logica e giuridica delle risultanze probatorie è stata ampiamente congrua e immune da contraddizioni

Le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio: un’analisi non salvifica

La ricorrente aveva invocato le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio del primo grado, sostenendo che questi non le avesse attribuito responsabilità rispetto ai vizi riscontrati. Tuttavia, la Cassazione evidenzia che il consulente non aveva affatto escluso un profilo di responsabilità del direttore dei lavori, limitandosi a rilevare che eventuali omissioni dovevano essere adeguatamente provate.

Di fatto, la Corte d’appello aveva correttamente osservato che i sopralluoghi e le contestazioni riconducibili alla professionista erano stati, in larga parte, tardivi e successivi al periodo critico in cui i vizi si erano formati. Anche sotto questo profilo, quindi, il motivo è stato ritenuto infondato.

Le spese di lite: nessuna reciprocità nella soccombenza

Un ulteriore motivo di ricorso riguardava la regolazione delle spese processuali, con cui la direttrice dei lavori lamentava l’assenza di una compensazione, sostenendo che il committente fosse risultato parzialmente soccombente in primo grado.

La Cassazione ribadisce un principio fermo: la parziale riduzione dell'importo riconosciuto non equivale a reciproca soccombenza, la quale può configurarsi solo in presenza di domande contrapposte o di articolazioni autonome della domanda principale. Di conseguenza, la decisione della Corte d’appello, che aveva integralmente posto le spese a carico della ricorrente, è stata confermata.

una sentenza di sistema sulla direzione dei lavori

L’ordinanza in commento offre una lettura rigorosa e funzionale del ruolo del direttore dei lavori, sottolineando che la sua attività non può ridursi a un compito meramente formale o episodico. L’alta sorveglianza non è una formula vuota, ma una responsabilità pregnante, che richiede una presenza effettiva, un controllo costante e un intervento tempestivo.

La protratta assenza dal cantiere, unita alla mancata tracciabilità di verifiche e prescrizioni, non è compatibile con l’adempimento diligente dell’incarico professionale. La Corte di Cassazione lo afferma con chiarezza e fermezza, fornendo un precedente significativo sia per i professionisti del settore edilizio sia per i committenti che intendano tutelarsi in presenza di gravi difformità costruttive.

In un settore complesso come quello dell’appalto privato, la decisione in esame rappresenta un ulteriore consolidamento del principio secondo cui il direttore dei lavori è responsabile non soltanto per ciò che fa, ma anche – e soprattutto – per ciò che omette di fare quando l’omissione consente che l’opera si realizzi in modo difforme, incompleto o viziato. Una responsabilità che, come la sentenza dimostra, non può essere elusa mediante generiche affermazioni di estraneità, ma richiede un'effettiva e continua prova di diligenza.

Esemplificazione delle contestazioni tipiche rivolte al direttore dei lavori: il caso di un appalto irregolarmente gestito

La casistica giurisprudenziale evidenzia che le contestazioni indirizzate al direttore dei lavori assumono, spesso, un contenuto articolato e multiforme, originato non da un unico episodio negligente, ma da una sequenza sistematica di omissioni, tali da compromettere l’intero equilibrio contrattuale.

A titolo esemplificativo, può richiamarsi la vicenda emersa da un ricorso per accertamento tecnico preventivo, ove il committente aveva denunciato un complesso quadro di inadempimenti riconducibili tanto all’impresa esecutrice quanto al professionista incaricato della direzione lavori .

In quella circostanza, la direzione lavori era affidata a un tecnico che, oltre ad assumere l’incarico professionale, rivestiva una posizione di particolare prossimità all’impresa appaltatrice, al punto da detenere una partecipazione societaria. Tale circostanza aveva inevitabilmente generato un evidente conflitto d’interessi, poiché il medesimo soggetto risultava essere, al contempo, controllore e controllato, pregiudicando così la sua indipendenza di giudizio e la sua capacità di vigilanza effettiva.

La carenza di trasparenza, aggravata dalla mancata preventiva comunicazione al committente di tale condizione, costituiva di per sé un’anomalia idonea a incidere sulla validità e correttezza dell’adempimento.

La situazione fattuale, ricostruita nel ricorso, rivelava che il direttore dei lavori non aveva esercitato alcun presidio effettivo sul cantiere.

Non risultavano sollecitazioni per il rispetto del cronoprogramma contrattuale, né vi erano tracce formali di interventi di richiamo all’impresa per i ritardi accumulati o per la mancata realizzazione di opere essenziali.

Anzi, proprio la documentazione contabile trasmessa dal professionista al committente appariva orientata più a sostenere le pretese economiche dell’impresa che a tutelare l’interesse del proprietario, con un atteggiamento di sostanziale acquiescenza rispetto a SAL non corrispondenti allo stato reale dei lavori.

La vicenda mostrava un ulteriore profilo critico, relativo alla mancata vigilanza sulla conformità delle opere al progetto esecutivo. Il direttore dei lavori aveva consentito, senza le necessarie autorizzazioni e in assenza di una previa variante sottoscritta, modifiche significative all’assetto dell’immobile, tra cui la trasformazione di aperture, alterazioni del prospetto e interventi incidenti sulla distribuzione interna. Tali modifiche, non solo estranee al titolo edilizio, ma anche in contrasto con le prescrizioni progettuali, avrebbero dovuto essere immediatamente impedite, ovvero tempestivamente segnalate al committente e all’autorità competente. L’omessa vigilanza, in questo caso, assumeva particolare gravità, poiché aveva determinato la necessità di avviare una nuova procedura amministrativa in variante, con conseguenti costi aggiuntivi a carico del proprietario.

Le contestazioni investivano anche la completa inerzia del direttore lavori rispetto alle condizioni del cantiere. Il professionista non aveva mai rilevato né sanzionato comportamenti gravemente contrari alle regole di buona esecuzione e di sicurezza, quali l’assenza di servizi igienici obbligatori, l’utilizzo improprio delle aree di pertinenza del committente da parte degli operai e persino l’accumulo di rifiuti di provenienza estranea al cantiere, con la conseguente ostruzione degli impianti di smaltimento delle acque meteoriche.

Episodi di tal genere non costituiscono meri inconvenienti marginali, ma rappresentano violazioni rilevanti delle normative in materia di gestione del cantiere, che il direttore dei lavori è tenuto, per obbligo professionale, a prevenire e reprimere.

Un ulteriore elemento oggetto di doglianza riguardava la mancata verifica della congruità dei pagamenti rispetto all’avanzamento effettivo dei lavori. I bonifici eseguiti dal committente corrispondevano all’intero importo delle prime due tranche previste contrattualmente, ma le opere completate non raggiungevano neppure la metà di quanto pattuito.

In tal senso, il consulente tecnico di parte aveva accertato uno scostamento rilevante, quantificando in oltre quattordicimila euro la differenza tra quanto pagato e quanto effettivamente realizzato, con una potenziale eccedenza fino a ventiquattromila euro in assenza di documentazione comprovante l’acquisto e la posa di determinati materiali.

La mancata attività di controllo da parte del direttore dei lavori emergeva con particolare evidenza da tali risultanze, rivelando una condotta incompatibile con i doveri di verifica contabile e tecnica che costituiscono il nucleo centrale delle sue attribuzioni.

La complessiva gestione del rapporto contrattuale aveva condotto, infine, alla risoluzione unilaterale dell’appalto da parte dell’impresa, nonostante la stessa risultasse gravemente inadempiente per ritardi, irregolarità e incompletezze esecutive.

Anche in tale frangente, il direttore dei lavori aveva mantenuto una posizione passiva, omettendo di tutelare il committente, di contestare la non conformità delle opere e di respingere richieste economiche ingiustificate. L’inerzia del professionista, aggravata dal conflitto d’interessi, aveva così concorso a determinare un danno rilevante per il proprietario, sia sotto il profilo patrimoniale, per i costi necessari al completamento e alla regolarizzazione delle opere, sia sotto il profilo non patrimoniale, per la prolungata impossibilità di utilizzare la propria abitazione.

Questo esempio, tratto dalla concreta esperienza maturata in un procedimento preliminare di natura tecnica, mostra in modo emblematico come la responsabilità del direttore dei lavori possa configurarsi non solo quando sussista una partecipazione attiva all’esecuzione difettosa, ma anche quando si verifichi una assenza strutturale di vigilanza, tale da incidere causalmente sull’insorgere di vizi, sui ritardi e sull’aggravarsi delle conseguenze pregiudizievoli per il committente.

L’insegnamento che se ne ricava è perfettamente coerente con il principio elaborato dalla giurisprudenza della Cassazione: la direzione lavori è un presidio tecnico e giuridico che non può tollerare zone grigie, conflitti d’interessi o forme di inerzia, poiché il professionista è tenuto, per competenza e per mandato, a garantire che l’opera si sviluppi secondo regola d’arte e in conformità agli obblighi contrattuali e pubblicistici che governano l’attività edilizia.

 

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