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Incidente mortale in centrale termica

Una centrale termica viene consegnata in manutenzione dalla società committente a un’impresa esterna. L’impianto, tuttavia, è difforme dal progetto assentito e privo dei necessari dispositivi di protezione secondo la valutazione del rischio antincendio e antiesplosione.

Durante l’intervento, avviene un sinistro mortale che stronca la vita del tecnico inviato dall’impresa manutentrice.

I familiari agiscono per ottenere il risarcimento del danno parentale (per tutta la famiglia); ed il committente si trincera dietro le solite difese: “nessuna ingerenza”, “l’impianto era fermo”, “la colpa è tua che stavi sul posto a lavorare”.

Ebbene, applicando con rigore il più recente diritto vivente della Suprema Corte sul ruolo prevenzionale del committente, la conclusione non lascia dubbi: il committente risponde civilmente, per violazione degli obblighi di sicurezza ex art. 26 D.Lgs. 81/2008 e per l’assetto causale che lega quelle omissioni all’evento, e per l’effetto deve risarcire il danno parentale ai prossimi congiunti.

Art. 26 D.Lgs. 81/2008 e art. 2087 c.c.

La disciplina prevenzionale non si ferma alla porta dell’appalto “puro”.

L’art. 26 D.Lgs. 81/2008 impone al datore di lavoro committente un coacervo di obblighi quando affida lavori, servizi o forniture all’interno della propria azienda o della propria attività, avendone la disponibilità giuridica dei luoghi: adeguata installazione degli strumenti di prevenzione a seguito dell’analisi dei rischi, verifica di idoneità tecnico-professionale, dettagliata informazione sui rischi specifici alle imprese e lavoratori, cooperazione e coordinamento tra imprese, redazione del DUVRI. Non sono orpelli burocratici: sono barriere di sicurezza che il committente deve predisporre ex ante.

La Cassazione ha chiarito che, ove tali obblighi non siano adempiuti, la responsabilità del committente per l’infortunio del lavoratore dell’appaltatore “è oggi normalmente implicata”, non confinata a casi eccezionali.

È il tramonto della vecchia concezione che riduceva la responsabilità del committente alla sola culpa in eligendo o alle ipotesi di ingerenza.

Compresenza organizzata e responsabilità da luogo pericoloso

Il diritto vivente è netto: l’ambito dell’art. 26 si estende oltre l’appalto tipico a tutte le fattispecie in cui si realizza una integrazione di diverse organizzazioni all’interno del medesimo scenario d’impresa.

Conta l’effetto sostanziale: la compresenza organizzata di più soggetti che operano nello stesso luogo funzionale al lavoro, non la nuda etichetta contrattuale, né il generico scarico di responsabilità (“lo doveva fare Tizio Caio o Sempronio”).

In tale scenario, il committente è garante della sicurezza (quantomeno quella veicolata dagli ambienti non sicuri di cui ha la disponibilità) e dunque dell’incolumità fisica di chi opera nel contesto che lui mette a disposizione, con valutazione ex ante dei rischi e non ex post a danno avvenuto.

Ciò porta con sé l’affermazione, dirimente nel nostro caso, che il committente può essere ritenuto responsabile “anche in mancanza di qualsiasi ingerenza” sull’attività dell’impresa intervenuta: la chiave di volta è l’inadempimento agli obblighi discendenti dalla prevenzione-informazione-cooperazione-coordinamento.

La centrale termica: rischi elevati, doveri aumentati

Una centrale termica porta con sé per definizione rischi specifici di incendio ed esplosione. In contesti ad alto potenziale lesivo, la valutazione del rischio deve essere puntuale e aggiornata allo stato reale dell’impianto.

Se l’impianto è difforme dal progetto assentito, l’obbligo del committente di informare l’impresa esterna su rischi esistenti e misure adottate non è solo attuale: è rafforzato.

La cooperazione sugli aspetti antincendio/antiesplosione e il coordinamento operativo (accessi, isolamenti, inertizzazioni, procedure LOTO, ventilazione, rimozione di sorgenti d’innesco, permessi di lavoro, ecc.) diventano imprescindibili.

Il DUVRI, se dovuto, è il perno documentale di questa architettura, e documento da cui partire per comprendere a livello indicativo come sono stati presi in considerazione i rischi da incidenti sul lavoro.

Non basta “spegnere la centrale termica” o “circostanziare l’area” per disinnescare il rischio interferenziale: compresenza significa interazione tra organizzazioni e rischi/responsabilità che si sovrappongono.

Se l’impianto è non conforme e sprovvisto dei dispositivi di protezione che la valutazione del rischio impone, il committente non può lavarsene le mani: i suoi obblighi legali scattano e vanno rispettati prima che l’operatore metta piede in centrale.

Altrimenti salta tutto il comparto sicurezza a cui è obbligato il Committente detentore della centrale termica .

Gli artt. 2050 e 2051 c.c.: la “doppia chiave” che rafforza la responsabilità del committente

Il quadro fin qui tracciato – art. 26 D.Lgs. 81/2008, art. 2087 c.c. e compresenza organizzata – si innesta perfettamente nelle fattispecie speciali degli artt. 2050 e 2051 c.c., che operano come chiavi d’accesso ulteriori alla responsabilità civile del committente in un contesto ad alto rischio come la centrale termica. In breve: se l’attività è pericolosa per sua natura o per i mezzi impiegati, scatta l’art. 2050 c.c.; se invece l’evento si ricollega alla cosa (impianto, locale, apparecchiature) che il committente ha in custodia, entra in gioco l’art. 2051 c.c.. Queste norme non sostituiscono, ma rinforzano la responsabilità già derivante dall’inadempimento prevenzionale, offrendo linee probatorie e criteri di imputazione più esigenti per il debitore di sicurezza. La sentenza sul rischio interferenziale e sulla risarcibilità del danno parentale conferma l’approccio funzionale: conta l’effettiva organizzazione del lavoro e la vicinanza ai rischi, non l’etichetta contrattuale.

Art. 2051 c.c. (cose in custodia): l’impianto come res che genera responsabilità oggettiva

L’art. 2051 c.c. attribuisce al custode la responsabilità per il danno cagionato dalla cosa in custodia, salvo prova del caso fortuito. In una centrale termica situata nei locali del committente – e consegnata a terzi per la manutenzione – la custodia rimane in capo al committente, che ha poteri di governo e controllo dell’impianto e dell’area. Se la cosa (impianto/centrale) è non conforme e sprovvista dei dispositivi imposti dalla valutazione del rischio, il nesso tra cosa e evento è immediato: l’assenza dei presidi contribuisce causalmente all’esplosione/incendio. In tale scenario, invocare il fortuito non regge: non si tratta di evento imprevedibile e inevitabile rispetto a un impianto difforme e privo di protezioni, ma del rischio tipico governabile attraverso le misure che – guarda caso – l’art. 26 già pretendeva.

Il punto è chiaro: 2051 non chiede di dimostrare la colpa del custode, ma solo il nesso tra cosa e danno; al custode resta l’onere della prova liberatoria del fortuito. In presenza di difformità e mancanza di DPI/impianti antincendio/antiexplosione, il fortuito evapora; resta la responsabilità oggettiva da cosa in custodia che corre in parallelo all’inadempimento prevenzionale. Questa doppia pista – 2050 e 2051 – non è un raddoppio sanzionatorio, è il naturale riflesso del tipo di rischio che il committente ha lasciato colpevolmente libero di espandersi.

Altra obiezione da difesa della domenica: “la vittima è stata imprudente, quindi concorso di colpa ex art. 1227, co. 1, c.c.”. La Cassazione ha già chiuso la partita con Ord. 15.5.2020, n. 8988: quando l’infortunio sul lavoro si verifica per puntuale esecuzione di ordini datoriali, o per organizzazione contraria alle regole di prevenzione, o per deficit di formazione/informazione imputabile al datore, l’eventuale imprudenza del lavoratore degrada a mera occasione e non rileva ai fini del concorso di colpa.

Attenzione, poi, al nesso logico con gli articoli speciali: se operano 2050 o 2051, il tentativo di spostare il peso sull’imprudenza del danneggiato perde ulteriore forza. Con 2050, il committente deve provare tutte le misure idonee: se mancano presidi antincendio/antiexplosione e procedure di coordinamento, non ha la prova liberatoria. Con 2051, il committente-custode deve provare il fortuito: ma in un impianto difforme e non protetto, dove starebbe l’imprevedibilità inevitabile? Nessun fortuito, nessun concorso.

Oneri probatori e nesso causale

La responsabilità civile del committente si valuta secondo le regole proprie del codice civile, diverse – e meno indulgenti – di quelle penali: nel perimetro dell’art. 1218 c.c., una volta allegato l’inadempimento alle regole di sicurezza e il danno, spetta al debitore-committente dimostrare che l’inadempimento è dipeso da causa a sé non imputabile. È qui che la barriera formale “nessuna ingerenza” si sbriciola.

Quanto al nesso causale, la Cassazione richiede al giudice di verificare se gli specifici inadempimenti dalla mancata installazione di presidi salvavita abbiano avuto incidenza eziologica sull’evento.

Il controllo è concreto: quali misure erano dovute in ragione del rischio incendio/esplosione della centrale? Quali dispositivi/procedure mancavano? Quali informazioni sono state taciute all’impresa intervenuta? Se la mancata attuazione di quelle misure ha consentito al rischio di realizzarsi, il nesso c’è. E la responsabilità, pure.

Dalla difformità progettuale alla colpa del committente

La difformità dal progetto assentito non è un dettaglio d’archivio: è il sintomo di una organizzazione negligente del luogo di lavoro, che altera la matrice dei rischi e impone una rivalutazione preventiva e condivisa. Se il committente affida l’impianto in manutenzione in tali condizioni e non attiva gli strumenti di informazione-cooperazione-coordinamento (e DUVRI), egli viola regole cautelari specifiche che l’ordinamento gli addossa in quanto committente.

È una colpa prevenzionale: nessun alibi è possibile dietro la supposta “autonomia” del manutentore o l’assenza di “operai interni” in area.

In contesti complessi come la centrale termica, l’inerzia documentale e organizzativa del committente non è mai neutra.

Il rischio non gestito – specie quello di esplosione – non è un fulmine a ciel sereno: è l’effetto dell’omissione delle misure richieste dal TUSL, a fortiori quando l’impianto è non conforme e sprovvisto dei presidi imposti dalla valutazione del rischio specifico.

Il danno parentale: tutela piena dei prossimi congiunti

Il danno parentale dei prossimi congiunti è pienamente risarcibile in sede civile quando la lesione – qui, la perdita definitiva del rapporto affettivo – discende dall’illecito del responsabile.

La Suprema Corte ha riaffermato più volte la tutela effettiva del rapporto affettivo e l’utilizzabilità di presunzioni e indizi seri, precisi e concordanti nella verifica del pregiudizio. Negare il ristoro in presenza di un vincolo familiare stretto e di una perdita devastante è giuridicamente erroneo.

Nel nostro caso, la morte improvvisa del congiunto in occasione di un’attività lavorativa la cui sicurezza ricadeva nella sfera di garanzia del committente integra senza sforzo il danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale.

La quantificazione avverrà alla luce dei criteri consolidati (età della vittima e dei congiunti, intensità del legame, convivenza, peculiarità del nucleo), con adeguati correttivi equitativi; ma il diritto al risarcimento non è in discussione.

Obbligo di installazione dei presidi di prevenzione

la responsabilità civile del committente non richiede che egli entri con le mani nel lavoro altrui; basta e avanza l’inadempimento agli obblighi di prevenzione, informazione, cooperazione e coordinamento e la relazione causale con l’evento.

Quanto al tentativo di scaricare ogni responsabilità sul manutentore, la risposta è nel diritto vivente: il committente è debitore di sicurezza verso chi opera nel suo perimetro, anche se dipendente altrui, e risponde quando non ha fatto quanto dovuto dalle misure necessarie a garantire un luogo di lavoro sano e quando dovuto ai sensi dell’art. 26 per neutralizzare i rischi di incidenti sul lavoro.

La traiettoria logico-giuridica che conduce alla condanna

Ricapitolando, la sequenza è lineare e stringente, come dev’essere quando si maneggia un impianto ad alto rischio:
Scenario: centrale termica del committente, difforme e priva dei presidi imposti dalla valutazione del rischio; compresenza organizzata con impresa esterna.
Regola: obblighi di tutela del lavoratore.

  • ex art. 26 D.Lgs. 81/2008 di verifica, informazione, cooperazione, coordinamento e, quando dovuto, DUVRI; responsabilità anche senza ingerenza in caso di inadempimento. – Via speciale 2050: attività pericolosa (centrale termica difforme e senza presidi); onere di provare tutte le misure idonee non assolto; responsabilità ex art. 2050 c.c..
  • Via speciale 2051: cosa in custodia (impianto/locale) causa del danno; assenza di fortuito; responsabilità oggettiva del custode-committente.
  • Schermo contro il 1227: eventuale imprudenza della vittima irrilevante nelle ipotesi tipizzate da 8988/2020 (ordine di lavoro, organizzazione illecita, deficit prevenzionale a protezione del lavoratore dal rischio specifico).

Fatto-colpa: omissione delle misure e delle cautele dovute in rapporto a incendio/esplosione; informazione e coordinamento carenti; DUVRI assente/inadeguato.
Causalità: l’evento mortale si colloca esattamente dentro il rischio governato dalle cautele omesse.
Conseguenza: responsabilità civile del committente e condanna al risarcimento del danno parentale ai prossimi congiunti (Cass. civ., Sez. lavoro, Sentenza, 12/09/2025, n. 25113)

Quando un committente consegna in manutenzione una centrale termica non conforme e sprovvista dei dispositivi di protezione richiesti dalla valutazione del rischio antincendio/antiexplosione, e tralascia i doveri cardine di informazione, cooperazione e coordinamento – cristallizzati nell’art. 26 D.Lgs. 81/2008 e nel DUVRI – , ovvero ancora viola gli artt. 2050 e 2051 del codice civile, egli rompe il patto di sicurezza che l’ordinamento impone ex ante.

Se da quella rottura scaturisce un sinistro mortale, il sillogismo si chiude: inadempimento + causalità = responsabilità. E responsabilità vuol dire risarcimento integrale del danno parentale ai congiunti, perché il diritto al rapporto affettivo non si baratta con scorciatoie formali. È la giustizia delle cose concrete: il committente risponde, perché doveva prevenire e non l’ha fatto.

Tags: Incidenti Mortali: Lavoro, Strada, Errori Medici

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