Responsabilità personale dell'Amministratore della SRL Art. 2476 CC
L’imprenditoria di tutti i livelli opera nel 2025 in un clima di incertezza politica, economica e normativa, sempre più critica.
Le possibilità per i singoli operatori economici di gestire tali incertezze “esterne” sono in sostanza nulle, soprattutto per le PMI.
Tuttavia,gli amministratori più lungimiranti hanno da tempo capito che la risposta più razionale all’incertezza esterna risiede nel minimizzare le procedure “interne” .
Il riferimento è, in particolare, ad una attenta e costante analisi (Due Diligence) legale e contabile, all’ottimizzazione del controllo di gestione, della efficacia delle procedure tecniche interne, e ovviamente del tempestivo adeguamento alle novità legislative, anche in tema di sicurezza sul lavoro.
Allo stato attuale, dunque, un adeguato ed attento controllo sulle dinamiche giuridico-aziendali interne alla società è divenuta una condizione necessaria, anche se certamente non sufficiente, per poter affrontare con maggiore sicurezza le incertezze del mercato.
Nello specifico e a titolo di significativa novità, è bene segnalare come sia stata introdotta, con effetto dal 16 marzo 2019, una modifica all’articolo 2086 del Codice Civile, che, al secondo comma, ora recita:
“L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
Tale modifica è parte di una più complessa e novellata normativa, che ha preso atto delle maggiori inevitabili incertezze cui si è accennato.
La normativa è denominata, non per caso, “Codice della crisi d’impresa”, ed è finalizzata a spingere gli operatori economici ad intervenire il più tempestivamente possibile nella eventualità di una possibile crisi d’impresa, al fine di massimizzare le possibilità di garantire la continuità dell’azienda.
Per molte aziende è, così, divenuta obbligatoria la nomina di un organo di controllo (collegio sindacale o sindaco unico o revisore unico o società di revisione), che è tenuto a monitorare la dinamica aziendale secondo predefiniti parametri e criteri e, in caso di necessità, è obbligato ad attivarsi secondo determinate procedure (inizialmente, assolutamente riservate) per consentire un tempestivo (e, ci si augura, salvifico) intervento da parte dell’imprenditore, opportunamente supportato dalla normativa in commento.
Il d. lgs. n. 14 del 12 gennaio 2019 (c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza), pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 14 febbraio 2020, ha introdotto una specifica disciplina in tema di responsabilità degli amministratori di S.r.l. nei confronti dei creditori sociali, le cui disposizioni sono entrate in vigore a partire dal 16 marzo 2019.
In particolare, l’art. 378 del decreto in esame ha previsto l’inserimento di un sesto comma nell’art 2476 c.c., in forza di cui:
“gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”.
2. Superamento della responsabilità limitata - SRL
Secondo molti, in forza della nuova disposizione, indubbiamente, gli amministratori della società a responsabilità limitata, possono rispondere dei debiti societari con il proprio personale patrimonio nei confronti dei creditori sociali.
Per l’amministratore, dunque, la capacità patrimoniale perfetta di quell’ente concepito come tale (non a caso, chiamato “a responsabilità limitata”) viene in concreto quasi cancellata.
In tal senso, depongono l’inasprimento di pene, di responsabilità e l’estensione di esecuzione forzata fino alla sfera personale dell’amministratore.
Non sembra, però, il caso di interpretare estensivamente la norma in questione.
Invero, la responsabilità degli amministratori verso i creditori delle S.r.l. era già in parte sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria (quantomeno per alcuni settori o soggetti del diritto, si pensi all’Agenzia dell’Entrate che opera con un regime speciale in deroga). Inoltre, i criteri individuati dal legislatore attraverso cui i creditori possono esperire la suddetta azione, sembrano sufficientemente stringenti, dovendo sussistere un nesso diretto fra la condotta dell’amministratore e la crisi aziendale, oltre che un patrimonio insufficiente alla soddisfazione delle pretese creditorie.
2.1 Le condizioni richieste: difetto di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale ed insolvenza
I creditori sociali di una S.r.l. potranno agire contro gli amministratori in presenza di due stringenti condizioni. La prima è, anzitutto, che gli amministratori abbiano violato gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
Com’è noto, il patrimonio sociale è il complesso dei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo alla società. Inizialmente è costituito dai conferimenti eseguiti o promessi dai soci; successivamente subisce variazioni qualitative e/o quantitative in relazione alle vicende economiche della società.
Gli amministratori, in altri termini, possono essere chiamati a rispondere allorché si siano resi direttamente responsabili del dissesto aziendale, avendo posto in essere comportamenti poco diligenti o non essendo intervenuti tempestivamente ad evitare l’instabilità aziendale.
Il riferimento sembra essere a quelle situazioni in cui gli amministratori abbiano del tutto sottovalutato il c.d. “rischio di insolvenza”, conducendo progressivamente la società ad uno stato di crisi, da intendersi come semplice squilibrio economico – finanziario, ovvero ad una situazione di vera e propria insolvenza, intesa come incapacità patologica di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Esempio:Integra una vera e propria distrazione in favore dell’amministratore l’acquisto da parte della società di immobili ad un prezzo esorbitante rispetto al valore di mercato, quando la società venditrice è riferibile alla famiglia dello stesso amministratore.
In ogni caso, il danno derivante dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio non si limita all’importo delle poste di bilancio, ma comprende tutto ciò che può rientrare nel “depauperamento reale” provocato dalla illecita condotta dell’amministratore.
Invero, nel sistema delle società di capitali, fra i principali doveri incombenti ex lege sugli amministratori, campeggia quello di conservare l’integrità del patrimonio sociale; posto che la gestione societaria è per sua natura dinamica e comporta necessariamente il rischio dell’insuccesso economico e della perdita patrimoniale, tale dovere può sinteticamente declinarsi nel senso che non solo ogni operazione di investimento o avvio di nuovi affari debba arrestarsi allorché il patrimonio contabile scenda al di sotto delle soglie stabilite dagli artt. 2447 e 2482-ter c.c. (ovvero quando comunque debba ritenersi venuta meno la c.d. continuità aziendale), ma prima ancora che di ogni impiego di denaro o utilità sociali gli amministratori debbano sempre esser in grado di render conto alla società (nonché, a certe condizioni e limiti, ai creditori), dimostrandone l’attinenza alla conduzione dell’impresa.
Esempio: il Tribunale ha ritenuto che, a fronte dei precisi addebiti di utilizzi di denaro sociale per finalità extra-sociali o comunque non chiaramente sociali, era l’amministratore resistente a dover dimostrare che tali prelievi e pagamenti fossero andati ad estinguere debiti contratti dalla società nell’ambito della propria attività sociale.
Giova ricordare che i criteri per la verifica dell’integrità patrimoniale sono plurimi e sempre circostanziati al caso di specie. Ebbene, nel caso di recupero crediti nei confronti di una società, uno dei criteri che più rileva nei provvedimenti di condanna al risarcimento da parte dell’amministratore è la perdita integrale del capitale e quantificazione dello stesso nella differenza tra il “debito finale” e l’importo del patrimonio netto risultante dal bilancio dell’esercizio/i precedente/i.
In generale, l’amministratore deve compiere attività meramente conservativa anziché attività di rischio a capitale perduto, ex art. 2486 cc.
V’è anche da dire che la sola situazione contabile non è l’unico indice da prendere in considerazione; infatti, in un inciso tratto da una decisione del Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia d’impresa(sentenza n. 16350 del 7 agosto 2018) si legge: “Integro, dunque, è quel patrimonio che, a prescindere dalla situazione contabile, risulta di consistenza monetizzabile tale da soddisfare i creditori. Conseguentemente, il termine patrimonio va inteso quale sinonimo di garanzia patrimoniale”.
Si aggiunga che, contrariamente a quanto si possa pensare, non è raro imbattersi in amministratori che si rendono responsabili del mancato deposito delle scritture contabili per diversi anni, quindi in palese dimostrazione del dissesto ed incuria protratta nel tempo (alias colpa o dolo).
Affinché i creditori possano agire contro gli amministratori delle S.r.l., è altresì richiesto che: 2) il patrimonio sociale risulti insufficiente al soddisfacimento dei crediti.
Di conseguenza, i creditori dovranno preventivamente tentare di soddisfarsi sul patrimonio sociale e, solo quando lo stesso risulti insufficiente, potranno avanzare l’azione nei confronti degli amministratori ritenuti responsabili.
La riforma mostra, indubbiamente, alcune criticità nell’ambito delle Società a Responsabilità Limitata, in cui, nella maggioranza dei casi, la figura del socio e quella dell’amministratore coincidono.
In tal senso, la norma si pone parzialmente in contrasto con il principio della responsabilità limitata, caratterizzante, appunto, le S.r.l. ed invero è parere comune quello di aspettarsi nei prossimi 4-7 anni una giurisprudenza altalenante non uniforme, per poi essere omogenea una volta approdati alla Cassazione, con ridimensionamento della portata ed ampiezza della norma in oggetto.
In questo contesto, assume particolare rilievo proprio la disciplina prevista al secondo comma dell’art. 2086 c.c., che, come si anticipava, afferma che “l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità’ aziendale, nonché’ di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.
In caso di insolvenza, dunque, i soci-amministratori della S.r.l. possono ritenersi responsabili allorché non si siano adoperati per istituire l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile citato dall’art 2086 c.c., necessario a rivelare tempestivamente la crisi dell’impresa e la perdita della continuità aziendale, nonché a porre in essere le misure di intervento più idonee ad arginare tali situazioni di difficoltà.
Peraltro, dal dato letterale sembra essere in presenza di una chiara sponsorizzazione di un istituto, quello del sovraindebitamento, in altri contesti scarsamente utilizzato per costi di accesso, ma soprattutto per inutilità concreta.
Dalla lettura in combinato disposto degli artt. 2476 comma 6 e 2086 c.c., si deduce chiaramente l’intenzione del legislatore di responsabilizzare il più possibile i soggetti preposti alla gestione della società, imponendo loro anche l’adozione di una struttura organizzativa che sia in grado di monitorare le condizioni dell’azienda e di far emergere tempestivamente le situazioni di crisi.
3. Applicazione retroattiva
Risulta doveroso chiedersi a quali fattispecie sia applicabile la norma in oggetto. In assenza di una espressa previsione normativa,e nemmeno di una giurisprudenza che possa confortare l’una o l’altro ragionamento, la tesi più prudente è che la richiamata riforma non sia retroattiva, e pertanto non si applichi ai rapporti sorti prima dell’entrata in vigore della novella, in virtù dell’art 11 delle Preleggi al Codice Civile, secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Depongono in tal senso ancheil principio di certezza del diritto e di legittimo affidamento, posti a fondamento del nostro intero sistema giuridico.
La norma, dunque, troverebbe applicazione solo per i rapporti sorti dopo la sua entrata in vigore, e sempre che ricorrano i presupposti sopra decritti.
D’altra parte, l’applicazione retroattiva si giustifica solo ove non violi il principio generale di ragionevolezza, il divieto di disparità di trattamento e l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica quale elemento fondante lo Stato di diritto, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico e, infine, il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
Tuttavia, la modesta opinione dello scrivente si dissocia da tale interpretazione per diversi motivi di seguito sintetizzabili, in ogni caso tutti attinenti alla modalità di applicazione dell’irretroattività.
3.1 Efficacia nel tempo della norma in relazione al credito
In primis, la retroattività riguarda l’eventuale responsabilità dell’amministratore. Tuttavia, come noto, la responsabilità ricade non già su un intero rapporto, ma su un numero determinato di fatti o atti posti in essere dal soggetto.
Allora ci si chiede: perché ancorare il principio di irretroattività al rapporto e non alla responsabilità, che qui da sola rileva?
In altre parole, con tale riflessione si vuole stimolare l’interlocutore a ragionare sull’aspetto specifico che in simile giudizio rileverebbe, ovvero la responsabilità, più che il singolo rapporto (contratto) in sé.
Esempio: si pensi ad un contratto di fornitura (alias“il rapporto”) concluso nel 2015, che per 4 anni e, quindi, fino al 2019 spiega i suoi effetti in maniera sana e lecita per entrambe le parti (Società di Tizio e di Caio). Ebbene, cosa accadrebbe se i rapporti si incrinassero nel 2019 e Tizio non ottemperasse più ai pagamenti convenuti? Il rapporto, in questo caso, è nato nel 2015, ma la responsabilità debitoria si verifica solo nel 2020.
Ad avviso dello scrivente, questo caso può essere ricondotto nell’alveo della norma in oggetto, in quanto ciò che più rileva è il momento di verificazione della responsabilità debitoria (si leggano i successivi paragrafi per ulteriori dettagli) e non la nascita del rapporto (sottoscrizione del contratto).
3.2 Art. 2476 del codice civile - Efficacia nel tempo della norma in relazione alle condizioni
C’è di più, ed è il caso di spingersi oltre.
Come detto, l’art. 2476 comma 6 del cc. prevede due requisiti principali, o, più precisamente, un requisito ed una sostanziale condizione di procedibilità: l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale e l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento del credito.
Appare dunque opportuno specificare che la responsabilità debitoria di cui al precedente paragrafo, è sicuramente integrata dall’attenta verifica dei due requisiti appena detti.
Esempio: se il creditore è titolare di un credito liquido, certo ed esigibile nel 2018, cioè prima dell’entrata in vigore della norma, ma le condizioni idonee a determinare la responsabilità dell’amministratore si concretizzano/si verificano solo nel 2020, egli potrà agire contro gli amministratori.
Ovviamente, l’azione giudiziale presuppone che il creditore “scopra” successivamente di rientrare nell’ambito applicativo della norma (stante il difetto di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale da parte dell’amministratore e l’insolvenza della società).
Tale scoperta può verificarsi quando il creditore abbia esperito, infruttuosamente, l’attività giudiziaria di recupero crediti.
Per effetto della tesi fin qui esposta, che dev’essere applicata con estrema cautela, stante l’assenza di pronunce giurisprudenziali sul punto, il creditore potrebbe agire contro gli amministratori anche per crediti sorti prima dell’entrata in vigore della novella, ove le condizioni di applicabilità della norma si verifichino e/o vengano scoperte in un momento meramente successivo.
4. Indirizzo Giurisprudenziale
Occorre, comunque, considerare che anche prima dell’introduzione del sesto comma dell’art 2476 c.c., parte della giurisprudenza ammetteva la possibilità, per i creditori sociali della S.r.l., di proporre un’azione (almeno quelle derivanti dai soci stessi) di responsabilità verso gli amministratori sul proprio patrimonio personale, applicando in via analogica la disciplina prevista dall’art 2394 c.c. per le S.p.a. (Sentenza del tribunale di Torino rgnr 14491/2015).
A tal proposito, si rammenta infatti come la Riforma del 2003 abbia di fatto introdotto“la piena autonomia dei diversi modelli societari”, pur restando ferma “la possibilità di estensione della disciplina della S.p.a. in materia di S.r.l.” in presenza di “un effettivo vuoto normativo”, nonché “di sostanziale comunanza dei principi di regolazione della materia in relazione alla disciplina della specifica situazione giuridica oggetto di interesse”.
Vi era, tuttavia, anche un orientamento minoritario che negava l’applicabilità alle S.r.l. della disciplina dettata dall’art2394 c.c.in tema di S.p.a., proprio facendo leva sulla “responsabilità limitata” che dovrebbe contraddistinguere tale tipo societario.
In ogni caso, considerata la persistenza di una lacuna normativa sul punto, nonché la comunanza di interessi in materia, il legislatore ha scelto di intervenire a dirimere il contrasto, accogliendo l’orientamento maggioritario ed introducendo il sesto comma all’art. 2476 c.c.
Il codice civile ha, così, fornito definitivamente una concreta risposta al vuoto normativo esistente sul tema.
A riprova dell’intento del legislatore di uniformare, quanto più possibile, la disciplina di S.p.a. ed S.r.l., occorre considerare anche l’art. 255 lettera b) del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Tale disposizione, prevede testualmente che “il curatore, autorizzato ai sensi dell’articolo 128, comma 2, può promuovere o proseguire, anche separatamente: - l’azione dei creditori sociali prevista dall’articolo 2394 e dall’articolo 2476, sesto comma, del codice civile;”
Con tale previsione, dunque, dettata specificamente per la fase di liquidazione giudiziale, il curatore è oggi autorizzato a promuovere o proseguire l’azione dei creditori sociali dispostadall’art. 2394 c.c.per le S.p.a.e dal novellato art. 2476 c.c., comma sesto, per le S.r.l.
Tale previsione ha certamente voluto mettere al riparo la delicata ed onerosa azione dei curatori da “contro ricorsi” e pressioni esterne.
4.1 Possibilità per il fisco di procedere contro soci ed amministratori
Occorre ricordare che le società di capitali godono di autonomia patrimoniale perfetta e, quindi, esiste una totale separazione fra il loro patrimonio e quello dei soci.
Esistono, tuttavia, deroghe normativamente previste a queste disposizioni in favore dell’Amministrazione Finanziaria. Ci si riferisce, in pratica alle seguenti fattispecie:
- ai liquidatori di società di capitali che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti di imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti (art. 36 del D.P.R. n. 602/1973).
- ai soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti Ires nei limiti del valore dei beni stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile. Le responsabilità sono estese agli amministratori che hanno compiuto nel corso degli ultimi due periodi di imposta precedenti alla messa in liquidazione operazioni di liquidazione ovvero hanno occultato attività sociali anche mediante omissioni nelle scritture contabili.
L’art. 36 pone a carico di soci, amministratori e liquidatori specifiche responsabilità per i debiti tributari delle società, qualora ne ricorrano i presupposti.
Tuttavia, le responsabilità in oggetto sono limitate all’Ires, come normativamente previsto, non potendosi estendere in via analogica anche all’Iva ed all’Irap.
In ambito tributario, esiste da tempo, inoltre, l’istituto della c.d. “ristrettezza della base sociale”, secondo cui i maggiori utili accertati a carico di una srl si traducono, quasi automaticamente, in maggiori redditi accertati in capo ai soci persone fisiche, con richiesta di imposte dirette a danno di costoro.
Questo si verifica quando la srl è “a base ristretta”, ovvero quando è composta da un numero esiguo di soci persone fisiche, magari in rapporto di parentela tra di loro. Si pensi, ad esempio, alle società composte da moglie e marito e partecipate nella misura del 50% ciascuno.
In tali contesti, se il fisco accerta dei maggiori redditi sulla società, è possibile estendere la pretesa fiscale in capo alle persone fisiche, che ne risponderanno con i propri patrimoni.
La presunzione che vi è dietro è che, essendo la società “a base ristretta”, i maggiori utili accertati alla società siano stati distribuiti ai soci.
Si tratta, ovviamente, di una mera presunzione, avverso cui è ammessa prova contraria (che spesso si rivela, tuttavia, diabolica, complessa, trattandosi di provare un “non fatto”).
A tal proposito, giova richiamare casi giurisprudenziali che consentono di ricostruire un quadro più completo e chiaro della tematica in oggetto.
Anzitutto, la giurisprudenza con ordinanza n. 10208 del 27/04/2018 ha affermato che: “solo il carattere definitivo del giudizio nei confronti della società, consentirebbe di agire nei confronti dei soci, per la presunta distribuzione di utili extracontabili; il giudizio, per contro, deve essere sospeso in attesa della definizione di quello nei confronti della società”.
Ed ancora, occorre che “l'accertamento venga effettuato in capo alla società e poi successivamente è possibile estenderlo a carico dei soci per una presunta distribuzione di utili” (Cassazione- ordinanza n. 11680/2016).
Già in precedenza, la sentenza n. 20870 dell’8.10.2010 così afferma: “È vero infatti che perché la presunzione semplice di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati possa operare occorre non solo che la ristretta base sociale e/o familiare - cioè il fatto noto alla base della presunzione - abbia formato oggetto di specifico accertamento probatorio ma anche che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati, il quale costituisce il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi.”
Vige, in sostanza, “il principio giuridico secondo il quale, una volta determinata l’esistenza di maggiori utili in capo ad una società, può presumersi, sul presupposto della ristretta basa societaria, che gli stessi utili siano stati distribuiti ai soci,” che“può essere applicato nelle ipotesi in cui i maggiori utili in capo alla società derivino da maggiori ricavi documentati, mentre è inapplicabile, in forza di divieto della doppia presunzione, allorché già la percezione di maggiori ricavi da parte della società si fondi su presunzioni” (Comm. Trib. Prov. Brindisi 12.10.10 n. 171).
Occorre, peraltro, avvertire che la giurisprudenza è piuttosto ferma nel ritenere valida tale presunzione, sia pure con le precisazioni che si sono sopra riassunte.
4.2 Aggiornamento 2025
Un ulteriore aggiornamento arriva nel 2025 con il provvedimento n. 17734, depositato il 1° luglio 2025, con cui la Terza Sezione Civile ha stabilito un principio rivoluzionario: il socio di una srl estinta può essere chiamato a rispondere dei debiti sociali anche se non ha percepito alcunché dalla liquidazione.
E' il caso cosidetto "dinamico" delle sopravvenienze attive, come nel caso eventuale di una azione revocatoria che riporta un bene nella disponibilità della società estinta (e dunque il socio), od un credito che diventa esigibile (ad es. di un recupero crediti).
5. Conclusioni
In conclusione, la modifica apportata all’art. 2476 c.c. dal “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”, mediante l’introduzione del sesto comma, comporta rilevanti conseguenze per le S.r.l., sia pure con le precisazioni che si sono in questo documento effettuate.
Le novità riguardano, infatti, tanto il punto di vista degli amministratori di S.r.l., che sono ora espressamente responsabili verso i creditori sociali allorché violino gli obblighi di conservazione del patrimonio sociale, quanto il punto di vista dei creditori, i quali, in caso di insufficienza del patrimonio sociale, trovano una tutela ulteriore nella possibilità di esperire l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori.
La scelta di applicare in via analogica la disciplina prevista per le società per azioni, si giustifica sulla base della considerazione per cui, in entrambi i tipi societari, la responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali costituisce un principio generale che funge da contrappeso alla responsabilità limitata dei soci.
In tal senso, depongono anche numerose norme introdotte proprio dalla riforma del diritto societario: il riferimento è, ad esempio, all’art. 2485, comma 1, c.c., il quale prevede che gli amministratori che hanno ritardato od omesso di procedere all’accertamento senza indugio ed alla pubblicità della verificazione di una causa di scioglimento della società sono responsabili per i danni cagionati ai creditori della società, all’art. 2486 c.c., che prevede che gli amministratori che abbiano compiuto, dopo lo scioglimento della società, atti non finalizzati alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, sono responsabili per i danni cagionati ai creditori della società ecc.
Volendo, in ultima analisi, compiere una previsione pro futuro, sia pure in termini meramente probabilistici, sembra potersi concludere che l’art 2476 co 6 c.c., in quanto norma speciale, verrà interpretata restrittivamente e, quindi, troverà applicazione nelle aule di tribunali solo in seguito ad una puntuale e rigida verifica di tutti i presupposti individuati dal legislatore.
Ovviamente però ogni caso è diverso e deve essere oggetto di attenta consulenza legale.
Avvertenza: Il presente documento non costituisce un parere professionale, e non sostituisce in alcun modo lo studio dello specifico caso.