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La Prova "d'ufficio" degli ordini istruttori nel Processo amministrativo

Nonostante il principio dispositivo istruttorio, occorre evitare distorsioni derivanti da un espansivo impiego dello strumento.

Invero, i poteri officiosi del giudice possono essere esercitati solo in ordine ai fatti che sono stati introdotti nel processo dalle parti (si pensi a quando controparte è contumace e non ha processualmente introdotto alcun fatto).

“In proposito va segnalato che la corrente di pensiero secondo la quale il metodo in parola attribuisce al G.A. una discrezionalità troppo ampia coglie nel segno soprattutto laddove quest'eccessiva discrezionalità può tradursi in un'eterogenesi dei fini, dato che, invece di garantire la parità tra privato e pubblica amministrazione, finisce per avvantaggiare ingiustificatamente la parte pubblica”.  (Diritto Processuale Amministrativo, fasc.3, 1° SETTEMBRE 2020, pag. 578, Autori: GIUSEPPE MANFREDI, ATTUALITÀ E LIMITI DEL METODO ACQUISITIVO NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO)

E’ possibile rinvenire dei limiti ai poteri istruttori officiosi nel generale principio di legalità, che trova applicazione anche nei confronti del potere giudiziario, per tacer d'altro perché la sua vigenza discende dalla riserva di legge sancita nella formula secondo cui “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge” ex art. 111 Costituzione.

Sin dall'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 111 Cost. autorevole dottrina ha infatti rilevato che, dato che i poteri istruttori d'ufficio rientrano nel novero dei poteri suscettibili di incidere sul contenuto della decisione, anch'essi sono soggetti alla applicazione del principio in parola.

“E in effetti la giurisprudenza costituzionale sin dalla sentenza 1 del 1956 afferma che non sono ammissibili “poteri discrezionali illimitati”, e l'orientamento secondo cui nel nostro ordinamento vige il principio di legalità sostanziale nel complesso sinora pare essere rimasto costante.

Sicché anche la discrezionalità del giudice non può essere illimitata, e, dunque, in assenza di precisi parametri prefissati ex lege, è necessaria quanto meno una interpretazione sistematica delle disposizioni sui poteri d'ufficio che possa ancorare l'esercizio di questi poteri a precisi presupposti.”  (A. Proto Pisani, Relazione conclusiva, in M. G. Civini - C. M. Verardi (a cura di), Il nuovo articolo 111 della Costituzione e il giusto processo civile, Milano, 2001, 321.)

Come appunto è già accaduto nel rito civile, in cui la giurisprudenza della Cassazione ha operato una interpretazione restrittiva, affermando che essi “incontrano un duplice limite, poiché, da una parte, devono essere esercitati nel rispetto del principio della domanda e dell'onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi o estintivi del diritto controverso e, dall'altra, devono rispettare il divieto di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice” , oppure che “deve ... escludersi che i poteri istruttori conferiti dalla legge al giudice di merito possano sopperire alle carenze probatorie delle parti, ponendosi in tal modo il giudicante in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e traducendosi siffatti poteri officiosi in un potere di indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale”.

“E a questa stregua ad esempio si può escludere che i poteri officiosi di cui qui si discute possano venire impiegati come viene impiegato l'ordine di esibizione di cui al comma 3 dell'art. 65 nei casi di cui s'è detto poco più sopra, ossia in modo incoerente con la funzione specifica per la quale essi sono attribuiti al giudice, che, come s'è visto, salvo ove non sia diversamente disposto, va tuttora nel senso di rimediare alla “posizione di non equivalenza” tra la parte privata e la parte pubblica.” 


Logica conseguenza di quanto appena argomentato è che sulle parti grava solo l'onere di introdurre nel processo mediante apposita allegazione i fatti secondari, ossia quelli che sono fonte di prova dei fatti principali, o primari, id est i fatti che identificano le pretese delle parti.

A maggior riprova di quanto appena detto, si pensi che la Cassazione ha più volte statuito il seguente principio di diritto: "il giudice amministrativo può, quindi, procedere all'individuazione dei motivi di ricorso tenendo conto non solo delle censure espressamente enunciate, ma anche di quelle che, pur se formalmente non esposte, possono essere desunte chiaramente dall'esposizione dei fatti ovvero dall'intero contesto del ricorso (Sezione IV, 10 dicembre 2003, n. 8117; 20 ottobre 1992, n. 910; V, 9 ottobre 2003, n. 6070; 9 giugno 2003, n. 3242)" (T.A.R. Abruzzo L'Aquila, Sez. I, Sent., (data ud. 16/06/2010) 26/10/2010, n. 716);


Altra autorevole dottrina del Prof. Betti si è soffermata sul fatto che accanto alla funzione tipica e generale del processo come mezzo di reintegrazione dell’ordinamento giuridico violato o che si pretenda violato, occorreva prendere in esame ciò che il processo rappresenta per la parte che vi fa ricorso e che ne determina quindi l’impulso.

L’attività processuale delle parti è l’espressione di una libera scelta di aderire o meno al contraddittorio, tanto che si assume il ruolo di parte se si utilizza il contraddittorio, prefigurandosi un beneficio.

Nell’ipotesi della contumacia, infatti, rimane comunque onere della parte provare i fatti a fondamento della liceità del provvedimento assunto.

Sul tema della condotta delle parti nel processo formulare e del contraddittorio come condizione di parità delle parti processuali: “D’altro canto, imporre al convenuto un obbligo di comparire non sarebbe opportuno, perché l’efficacia della sua contradizione è tutta fondata sulla spinta del suo interesse , e quindi sulla sua libertà . Senza dire che la mancanza di contradittorio, se può pregiudicare, non pregiudica necessariamente la decisione giusta. Il contradittorio è uno strumento utile del processo quando vi sia fondamento nel contradire: se non ce n’è, costituisce un ingombro. La corretta soluzione del problema pratico sta dunque nell’imporre al convenuto, anziché un obbligo giuridico, un semplice onere . E a questa soluzione servono le misure che, da un lato, rendono possibile e agevole al litigante di partecipare al giudizio, dall’altra lo stimolano ad agire in quanto fanno ricadere su di lui – conforme al principio dell’autoresponsabilità di parte – le conseguenze della sua propria inattività, e così spiegano sul suo comportamento una influenza psicologica eminentemente educativa.” 

L'Onere di prova non può essere eluso dai poteri ufficiosi del Giudice 

L’onere di prova che grava su controparte,  il quale nel caso in ipotesi ha processualmente ha scelto di non costituirsi e di non svolgere alcuna difesa. 

L'onere di prova di controparte non può essere eluso dai poteri ufficiosi del Giudice Amministrativo e dunque rimanere assorbito dal principio dispositivo istruttorio del Tribunale.

La rilevante e grave condotta processuale di controparte deve essere valutata dal collegio giudicante ai sensi dell’art. 64 cpa e 116 cpc secondo comma, in combinato disposto all’art. 39 cpa.

In ogni caso, dunque, anche a voler soprassedere sull'ordine istruttorio, la scelta di controparte di non ottemperare all'ordine stesso, senza giustificato motivo, non può rimanere priva di conseguenze giuridiche.

La condotta omissiva di controparte potrebbe indicare anche indizi sull’assenza di fondatezza delle sue ragioni (anche mediante libero apprezzamento del giudice, nonché presunzione-argomento di prova) e/o il mancato interesse processuale a svolgere difese e provare la fondatezza dell’atto impugnato, frustra e minimizza il diritto del ricorrente ad ottenere quanto previsto per legge.

La diretta conseguenza giuridica delle argomentazioni sopra esposte, porta a ritenere che controparte possa decadere ex art. 73 cpa dal costituirsi e depositare documenti per il mancato rispetto dei termini già concessi. Ne discende il dovere del giudice di porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti e i fatti non specificatamente contestati.  

Nondimeno, la parte che ha allegato un fatto non contestato non ha l'onere di provarlo ex art. 64 cpa e 115 cpc .

L'art. 64 cpa e 116 c.p.c., poi, conferisce al giudice di merito il potere discrezionale di trarre elementi di prova dal comportamento processuale delle parti (v. Cass., 5/12/2011, n. 26088; Cass., 10/8/2006, n. 18128, e già Cass., 26/2/1983, n. 1503), e il comportamento (extraprocessuale e) processuale - nel cui ambito rientra anche il sistema difensivo adottato dal rispettivo procuratore - delle parti può in realtà costituire non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite ma anche unica e sufficiente fonte di prova, idonea a sorreggere la decisione del giudice di merito, che con riguardo a tale valutazione è censurabile nel giudizio di cassazione solo sotto il profilo della logicità della motivazione (v. Cass., 26/6/2007, n. 14748).

Decadenza dei termini perentori ex art. 73 cpa

La naturale conseguenza della condotta processuale omissiva è che Parte resistente contumace è decaduta dal deposito di atti e documenti ex art. 73 codice del processo amministrativo.

Purtroppo, il Tar si è da ultimo (settembre 2023) espresso in senso negativo ritenendo nella discrezionalità del Collegio la scelta di reiterare, ove ritenuto necessario, una precedente ordinanza istruttoria non ottemperata.

Con ciò, sostanzialmente il mancato assolvimento dell'onere probatorio (in larga parte posto in essere dai vari Ministeri dello Stato) rimane privo di conseguenze giuridiche, e la suddetta determinazione del Tribunale Amministrativo Regionale rappresenta una scelta di politica giudiziaria.

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